¨Terrubares guidò Navarra attraverso il cortile e, una volta all’interno della magione, in un grande salone del pianterreno. Si trattava di un ambiente ampio, con un grande tavolo nel mezzo e sedie di solido legno dall’alto schienale riunite attorno. Il soffitto, a cassettoni lavorati a mano, ricavati dal pregiato cedro del Nicaragua, dava alla sala un tocco austero. Le pareti erano di un color carminio chiaro, su cui risaltavano dipinti del settecento peruviano con angeli e cherubini raffigurati in uniforme di archibugieri. L’intendente si soffermò a osservarne uno.
«Archibugi al posto delle spade, notevole, vero?» commentò Navarra.
«Sono della scuola del Cuzco. È mai stato in Perú?»
L’intendente negò.
«Sono dipinti della tradizione indigena del XVII e XVIII secolo. I discendenti degli Incas, che erano ottimi artigiani e artisti, presero a raffigurare gli angeli come soldati. Una maniera davvero singolare di rappresentare degli esseri spirituali.»
«Forse perché erano quegli angeli a sparargli addosso» commentò caustico Navarra.
Terrubares accennò un sorriso.
«Un’interpretazione efficace. D’altronde, gli angeli sono guardiani, e ogni guardiano ha nel fondo un po’ di guerriero, non trova?».
L’intendente assentì con il capo. Rimase a osservare la pittura davanti alla quale si era soffermato, un Michele arcangelo protetto dall’armatura nell’atto di caricare l’archibugio¨.
Il brano è tratto dal secondo capitolo di ¨Il segreto di Julia¨. A partire da questo articolo vorrei approfondire alcuni passaggi dei due miei e-book che hanno come soggetto l’intendente Navarra. Lo scopo è duplice: uno è quello di offrire un ulteriore strumento a coloro che hanno letto i libri, l’altro è invitare chi non l’ha ancora fatto a leggerli. Spesso le pagine di un romanzo passano superficialmente su temi che non sono fondamentali per la trama, ma che servono invece a creare l’ambiente e dare tinta alla struttura. L’idea di questi articoli è quella di approfondire alcune tematiche apparse sbrigativamente su ¨Il segreto di Julia¨ e ¨Il patto dei gentiluomini¨, siano esse sociali, culturali o storiche, spiegarle e rivelarle.
Cominciamo, quindi, parlando di arte. Di quei dipinti che Navarra osserva nella magione del possidente Terrubares e che appartengono ad una delle rappresentazioni più singolari dell’arte pittorica andina (tra Perù e Bolivia), la scuola del Cuzco.
Ci voleva un italiano per impulsare e consolidare la pittura in Perù, un marchigiano per l’esattezza. Nato a Camerino nel 1548 Bernardo Bitti, viene mandato ragazzino a Roma per studiare pittura. A venti anni entra nella Compagnia di Gesù e quando l’ordine riceve dal Nuovo mondo la richiesta di un pittore che possa evangelizzare attraverso l’arte, i suoi lo mandano a Lima. Bitti arriva nella capitale del virreinato nel 1575, quando ha ventisette anni e quando il vicerè dell’immensa regione è il bacchettone e spietato Francisco de Toledo, diventato poi famoso con il soprannome di ¨supremo organizador¨. Toledo, che è espressione estrema del giogo coloniale, prima di tutto fa fuori gli ultimi inca ribelli rimasti (è lui che manderà ad impiccare Tupác Amaru), poi consolida la mita, il sistema di lavoro obbligatorio che mantenne per secoli gli indigeni andini sotto schiavitù ed infine instaura il primo tribunale dell’Inquisizione d’oltreoceano. Un bel tipo, insomma. Sotto di lui e con la collaborazione dei religiosi (gesuiti e domenicani), impone la propaganda attraverso l’arte. Santi, madonne, profeti, scene di miracoli imbiancano i muri e le tele nelle chiese e nei conventi, nelle piazze e nei luoghi dell’amministrazione pubblica, a testimoniare il potere religioso e politico degli Spagnoli. Bitti fa parte del manipolo di artisti europei chiamati ad assolvere a quel compito. Lo fa con ardore e con prolificità. Per otto anni rimane a Lima poi, nel 1583, lo mandano a chiamare a Cuzco. Bitti lavora non solo nell’antica capitale incaica, ma su buona parte dell’arco andino a Juliapa, Puno, Chuquisaca e Arequipa prima di tornare a Lima per morirvi nel 1610. Nell’arco dei trentacinque anni trascorsi in Perù ha tutto il tempo non solo di evangelizzare, come i suoi superiori gli avevano intimato, ma di insegnare l’arte pittorica –fortemente influenzata dal manierismo- a una manciata di allievi di estrazione indigena. Il risultato è uno stile singolare che fa spesso a pugni con la prospettiva, ma che introduce la singolarità di elementi paesaggistici e culturali legati all’ambiente andino ed amazzonico. Più ci si allontana nel tempo dagli insegnamenti di Bitti e più i pittori di Cuzco si addentrano in quella che diventa la peculiare Scuola Cusqueña, tra madonne indigene ed arcangeli vestiti da nobili spagnoli, con sacro e profano a confrontarsi sulla stessa tela. Lontano dagli occhi dei gesuiti e, di conseguenza, dal loro controllo, i colori si fanno più vivaci ed i particolari minuziosi.
L’associazione tra il nobile spagnolo e l’immaginario religioso diventa indissolubile e nella seconda metà del XVII secolo cominciano ad apparire gli arcangeli con l’archibugio, nella zona di Calamarca, nelle vicinanze di La Paz, in Bolivia. Il genere ha successo, al punto che giungono commissioni da tutta l’America dell’arco andino e fino alla pampa argentina. A Lima e a Cuzco sorgono botteghe specializzate proprio nel tema degli arcangeli armati, che diventano comuni nelle case patrizie e nei luoghi di culto. Le richieste si fanno sempre più esigenti e presto ai colori ad olio si aggiunge l’oro, a definire non solo i particolari più importanti del dipinto, ma anche le cornici, pregiate e preziosissime. Quella che doveva essere un’arte povera, nata dagli indigeni che volevano esprimere il loro contatto con il nuovo ambito religioso, diventa manifestazione di ricchezza destinata ad arredare le case signorili della borghesia latinoamericana, case come quella del possidente Terrubares de ¨Il segreto di Julia¨. Ancora oggi è possibile ammirare (e comperare) le copie di quei lavori nei mercati di Lima, di Cuzco e delle principali città peruviane.
¨Il segreto di Julia¨ si può scaricare su Amazon:
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