Il partito di Umbertino Bossi è sempre lo stesso. Difficile possa cambiare la sua impostazione popolana (e non popolare come erroneamente viene definita la “sensibilità” tutta verde-padania verso le attese e i bisogni della gente del nord). Il fatto è che, da quello che ci è dato di sentire, il livello culturale medio del militante leghista è pari a quello di un tonno, pesce dal quale ha anche mutuato la tendenza all’ammasso. La Lega scambia per “linguaggio semplice e comprensibile” quel florilegio di insulti, di parolacce e di mimica greve che piove a ogni comizio, a ogni raduno, a ogni dichiarazione a mezzo stampa e non. Per cui “Monti fuori dai coglioni”, secondo il leader maximo leghista, è l’unico modo per far capire alla sua gente che la Lega è contro il governo del Professore. Secondo noi Bossi offende la sua gente e non Monti, ma non è il caso di stare a sottilizzare. La manifestazione oceanica di ieri a Milano se avesse visto i partecipanti vestirsi in grigio invece che in verde avrebbe fatto pendant con quella di Norimberga del 21 agosto del 1927, quando sfilarono altre camice, altri colori ma, soprattutto nei confronti dei negher e degli ebrei, le stesse idee. I leghisti sono quelli che negano lo ius soli e disinfettano gli scompartimenti dei treni che trasportano lavoratori extracomunitari (ma anche autoctoni), figuriamoci se si offendono se qualcuno li chiama razzisti e fa riferimenti storici di un certo tipo. Comunque, a parte “Passera e Fornero vi faremo un culo nero”, che è una delle mille delikatessen pronunciate ieri dal palco leghista, se quella buffonata doveva servire a rendere visibile la pace raggiunta dentro il partito, agli occhi degli osservatori più attenti ha rappresentato solo uno dei mille modelli possibili di pace sì, ma armata. A Bobo Blues Maroni non è stata data la parola nonostante il popolo leghista lo invocasse a pieni polmoni. Tra l’ex ministro e il prossimo ex capogruppo alla Camera, Reguzzoni, non c’è stato manco uno scambio di sguardi, figuriamoci una stretta di mano e i fischi che, nonostante il carisma, Bossi ha rimediato, non sono apparsi affatto segnali di pace ma di una guerra strisciante e non dichiarata pubblicamente. E come accade quando la situazione interna è sull’orlo di una crisi di nervi, per tentare di ricompattare le fila si deve cercare e trovare un nemico esterno da combattere insieme. Da che storia è storia quando in patria ci sono problemi, l’unico mezzo per risolverli è proiettarli all’esterno dove di solito si trova un terreno di intesa comune. Il governo Monti è utile alla Lega proprio per questo, per risolvere i problemi interni che stanno correndo il rischio di provocare un vero e proprio terremoto scissionista. Invocare la secessione dall’Italia è, quindi, l’unico e ultimo strumento che Bossi ha per mantenere il suo partito unito a costo di minacciare a gran voce la crisi in Lombardia per dimostrare (solo in apparenza) ai suoi di tentarle tutte per far cadere l’esecutivo del Professore. C’è ancora chi ci casca ma si sa, dopo un grugno di maiale al forno, mezzo metro di salsicce di cinghiale e tre litri di birra, tutti addivengono a più miti consigli e sono nelle condizioni di credere a qualsiasi puttanata. Da domani, intanto, con la pubblicazione sulla GU, partono le liberalizzazioni. Qualcuna avverrà in tempi brevi, per qualcun’altra ci vorrà un po’ di più ma ormai il meccanismo è avviato e dovrebbe essere portato a termine nel 2013, segno inequivocabile che Monti ha intenzione di arrivare alla scadenza naturale del mandato. Sulle liberalizzazioni torneremo quanto prima ma quello che ci preme ora, è riandare brevemente alla presenza di Giulio Tremonti ieri sera da Fazio. Giulio ha scritto un libro. E su questo nulla da dire visto che oggi li scrivono tutti: cani, porci, lenoni e mignotte. L’aspetto che fa impressione del libro di Tremonti, è che di tutte le cose che ha scritto e che pensa, non se n’è avuta traccia fino a quando ha ricoperto il ruolo di superministro dell’economia. A parte la lezioncina tanto al chilo sul capitalismo di Smith e l’anticapitalismo di Marx tratta paro paro dal Bignami, SuperGiulio è arrivato a dire che lui vieterebbe per legge i “derivati tossici”, quei soldi che “viaggiano in Rete” e che non rispondono ai requisiti di una economia “etica” basata sul lavoro e sul profitto da lavoro invece che sulle speculazioni. Ma quando qualcuno gli chiede perché lui è sempre stato contro la Tobin Tax, Giulio dice che non può essere a favore di una norma che, di fatto, ufficializzerebbe l’economia virtuale. Qualcuno potrebbe rispondergli “si, va beh, ma se nessuno dichiara fuorilegge i ‘derivati’ nel frattempo che si fa?”. Tremonti non risponde ma i contribuenti vessati dalle truffe bancarie lo sanno benissimo: continueranno a pagare di tasca propria i giochetti di quattro speculatori d’assalto che quando fanno cazzate arriva lo stato e li tira fuori dai guai. Il Tremonti di ieri sera ci è sembrato più marxista che liberista, az i tempi stanno proprio cambiando.
Magazine Politica
E da domani si liberalizza. Senza la Lega e senza il “compagno” Giulio.
Creato il 23 gennaio 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Il partito di Umbertino Bossi è sempre lo stesso. Difficile possa cambiare la sua impostazione popolana (e non popolare come erroneamente viene definita la “sensibilità” tutta verde-padania verso le attese e i bisogni della gente del nord). Il fatto è che, da quello che ci è dato di sentire, il livello culturale medio del militante leghista è pari a quello di un tonno, pesce dal quale ha anche mutuato la tendenza all’ammasso. La Lega scambia per “linguaggio semplice e comprensibile” quel florilegio di insulti, di parolacce e di mimica greve che piove a ogni comizio, a ogni raduno, a ogni dichiarazione a mezzo stampa e non. Per cui “Monti fuori dai coglioni”, secondo il leader maximo leghista, è l’unico modo per far capire alla sua gente che la Lega è contro il governo del Professore. Secondo noi Bossi offende la sua gente e non Monti, ma non è il caso di stare a sottilizzare. La manifestazione oceanica di ieri a Milano se avesse visto i partecipanti vestirsi in grigio invece che in verde avrebbe fatto pendant con quella di Norimberga del 21 agosto del 1927, quando sfilarono altre camice, altri colori ma, soprattutto nei confronti dei negher e degli ebrei, le stesse idee. I leghisti sono quelli che negano lo ius soli e disinfettano gli scompartimenti dei treni che trasportano lavoratori extracomunitari (ma anche autoctoni), figuriamoci se si offendono se qualcuno li chiama razzisti e fa riferimenti storici di un certo tipo. Comunque, a parte “Passera e Fornero vi faremo un culo nero”, che è una delle mille delikatessen pronunciate ieri dal palco leghista, se quella buffonata doveva servire a rendere visibile la pace raggiunta dentro il partito, agli occhi degli osservatori più attenti ha rappresentato solo uno dei mille modelli possibili di pace sì, ma armata. A Bobo Blues Maroni non è stata data la parola nonostante il popolo leghista lo invocasse a pieni polmoni. Tra l’ex ministro e il prossimo ex capogruppo alla Camera, Reguzzoni, non c’è stato manco uno scambio di sguardi, figuriamoci una stretta di mano e i fischi che, nonostante il carisma, Bossi ha rimediato, non sono apparsi affatto segnali di pace ma di una guerra strisciante e non dichiarata pubblicamente. E come accade quando la situazione interna è sull’orlo di una crisi di nervi, per tentare di ricompattare le fila si deve cercare e trovare un nemico esterno da combattere insieme. Da che storia è storia quando in patria ci sono problemi, l’unico mezzo per risolverli è proiettarli all’esterno dove di solito si trova un terreno di intesa comune. Il governo Monti è utile alla Lega proprio per questo, per risolvere i problemi interni che stanno correndo il rischio di provocare un vero e proprio terremoto scissionista. Invocare la secessione dall’Italia è, quindi, l’unico e ultimo strumento che Bossi ha per mantenere il suo partito unito a costo di minacciare a gran voce la crisi in Lombardia per dimostrare (solo in apparenza) ai suoi di tentarle tutte per far cadere l’esecutivo del Professore. C’è ancora chi ci casca ma si sa, dopo un grugno di maiale al forno, mezzo metro di salsicce di cinghiale e tre litri di birra, tutti addivengono a più miti consigli e sono nelle condizioni di credere a qualsiasi puttanata. Da domani, intanto, con la pubblicazione sulla GU, partono le liberalizzazioni. Qualcuna avverrà in tempi brevi, per qualcun’altra ci vorrà un po’ di più ma ormai il meccanismo è avviato e dovrebbe essere portato a termine nel 2013, segno inequivocabile che Monti ha intenzione di arrivare alla scadenza naturale del mandato. Sulle liberalizzazioni torneremo quanto prima ma quello che ci preme ora, è riandare brevemente alla presenza di Giulio Tremonti ieri sera da Fazio. Giulio ha scritto un libro. E su questo nulla da dire visto che oggi li scrivono tutti: cani, porci, lenoni e mignotte. L’aspetto che fa impressione del libro di Tremonti, è che di tutte le cose che ha scritto e che pensa, non se n’è avuta traccia fino a quando ha ricoperto il ruolo di superministro dell’economia. A parte la lezioncina tanto al chilo sul capitalismo di Smith e l’anticapitalismo di Marx tratta paro paro dal Bignami, SuperGiulio è arrivato a dire che lui vieterebbe per legge i “derivati tossici”, quei soldi che “viaggiano in Rete” e che non rispondono ai requisiti di una economia “etica” basata sul lavoro e sul profitto da lavoro invece che sulle speculazioni. Ma quando qualcuno gli chiede perché lui è sempre stato contro la Tobin Tax, Giulio dice che non può essere a favore di una norma che, di fatto, ufficializzerebbe l’economia virtuale. Qualcuno potrebbe rispondergli “si, va beh, ma se nessuno dichiara fuorilegge i ‘derivati’ nel frattempo che si fa?”. Tremonti non risponde ma i contribuenti vessati dalle truffe bancarie lo sanno benissimo: continueranno a pagare di tasca propria i giochetti di quattro speculatori d’assalto che quando fanno cazzate arriva lo stato e li tira fuori dai guai. Il Tremonti di ieri sera ci è sembrato più marxista che liberista, az i tempi stanno proprio cambiando.
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