Povero Paese. Povera Italia vittima due volte, come ostaggio della banda Merkel-Finanza e come vittima della sindrome di Stoccolma che la porta a simpatizzare con i rapitori. Mentre la stampa si diletta a ricamare sull’annuncio del ritorno di Nosferatu riemerso dalla tomba dell’imprensentabilità, al secolo il cavalier Silvio Berlusconi, nessuno sembra fare caso alle manovre elettorali di Moody’s, l’agenzia di rating, peraltro sotto inchiesta, che ha operato un’altro downgrading nei confronti dei nostri titoli di stato.
Certo tutti gli occhi sono appizzati al maledetto spread che, come al solito si rialza e attinge i livelli di quella emergenza che portarono Monti a palazzo Chigi. Ma nessuno analizza la totale mancanza di logica, di coerenza e di senso comune che sta dietro all’aggressione moodiana o cerca di leggere tra le righe. L’agenzia di rating deve prendere atto del “deterioramento delle prospettive economiche nel breve termine”, ma inopinatamente e rialza il termine di rischio dei titoli a lungo termine. Un controsenso necessario perché altrimenti dovrebbe riconoscere il fallimento delle ricette imposte e si macchierebbe di eresia nei confronti dell’ortodossia finanziaria. A breve termine vuol dire che la medicina è giusta, il medico un luminare e che se il malato muore è colpa della fatalità.
Sarebbe interessante sapere di quale sostanza fanno uso gli analisti di Moody’s , anche se la finanza in sé è ormai una droga scassa neuroni. Ma insomma il controsenso era solo la premessa, il piano illogico e inconcludente su cui fondare la successiva affermazione che è scandalosa da ogni punto di vista. Quella secondo cui l’operazione di dowgrading discenderebbe dal “clima politico che, con l’avvicinarsi del voto della prossima primavera è fonte di un aumento dei rischi”. Insomma la democrazia sarebbe un grave rischio finanziario mettendo in forse quelle ricette che tuttavia stanno provocando recessione e dunque un aumento certificato del rischio. Guazzabuglio dadaista che però è chiaramente volto a suggerire che sarebbe assai rischioso fare a meno di Monti dal prossimo anno.
Opinioni incoerenti direte voi. Se non fosse per la circostanza che l’uomo al centro di questa manovra scopertamente politica è stato per quattro anni dal 2005 al 2009 advisor di Moody’s, come si può leggere qui e qui proprio una delle agenzie di rating sotto inchiesta per giudizi sospetti sul nostro Paese. Insomma la cosa somiglia un po’ troppo ad una sorta di insider trading di natura politica: il prof che fino a tre anni fa (a suo dire) era a libro paga di Moody’s adesso per la stessa organizzazione si rivela indispensabile al’Italia. E non perché abbia risollevato la situazione, ma perché l’ha aggravata a tal punto che si è ritenuto di operare un downgrading. D’accordo che un sacerdote della finanza non va mai lasciato a piedi dai vescovi del denaro, ma qui il giochino è fin troppo scoperto, anche se la sindrome di Stoccolma ci impedisce di accorgercene con la lucidità necessaria.
Anzi qualcuno- ingenuamente o ipocritamente – sospetta che sia uno sgambetto proprio nel momento in cui Monti è negli States a raccogliere possibili investimenti (forse al prof è sfuggito il piccolo particolare che la Fiat sta lasciando l’Italia per gli Usa e che forse sarebbe meglio fare qualcosa per questo). Ma semmai lo sgambetto è per gli italiani, non certo per il premier che sempre più viene rappresentato come l’ultima spiaggia, man mano che l’ultima spiaggia si avvicina anche grazie a lui. E così Moody’s è il primo firmatario ufficiale della lista Monti.