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È il mondo nuovo baby, però devi pagare

Da Marcofre

Cosa manca (a parer mio), al self-publishing?
In queste ultime settimane sto riflettendo su cosa combinare con i miei racconti, una volta conclusi. Provare con un editore (purché in possesso di certi requisiti)?

Ma da quel che si vede e si sente, sono tagliato fuori: sono vecchio, scrivo racconti di poveracci, però senza denunciare o tirare in ballo i poteri forti. Perché non è compito della narrativa, secondo me.

E non è nemmeno escluso che siano delle boiate messe su carta digitale, anche se mi viene detto il contrario (e io sotto sotto sono quasi certo che… funzionino). Chi scrive però è fatto così, giusto? Ma torniamo all’argomento del post.

Lasciamo perdere i grandi gruppi editoriali. Quello che manca se ci si rivolge al self-publishing è la relazione: tra autore e editor, tra autore ed editore. Fisime? Sciocchezze?

Se scrivere è un percorso, è bene avere a che fare con dei professionisti. Io non lo sono di certo, anche se provo a studiare, a mettere le mani nel motore, smontarlo, e cercare di capire gli errori da evitare.

Rispetto a quando ho ripreso a scrivere nel 2009, dopo 5 anni di silenzio, credo di aver camminato persino bene, e ho avuto la fortuna inestimabile di incontrare una persona che mi ha aiutato a crescere. A volte anche segnalando un solo aggettivo: sono in pochi coloro che possono capire cosa scatena la semplice segnalazione di un aggettivo fuori posto.

La mia idea è che se un editore in un momento come questo capisce che è qui che si gioca la partita più importante, e non nei DRM Adobe, sbucherà fuori dal cataclisma che sta per investire l’editoria, rafforzato. Non penso a Mondadori: qualunque cosa accada ne uscirà bene, è ridicolo immaginare che possa essere messo in difficoltà un colosso del genere.

Mi riferisco all’editore che torna a svolgere il suo lavoro: creare un bene, non piazzare un prodotto. Quindi un rapporto personale con l’autore, un progetto, un’idea meno peregrina di letteratura. Assieme all’editor, all’autore, costruire una relazione capace di portare frutti. Può il self-publishing garantire questo? Al momento non credo.

So bene che ci sono editor che a pagamento, aiutano. Sanno svolgere bene il loro lavoro, per esempio consigliando letture, proponendo punti di vista per risolvere il collo di bottiglia della storia, che l’autore non sarebbe in grado di superare. Lo so. Però a pagamento.

È giusto pagare un professionista, ma perché dovrei farlo io? Non è anche questo un modo per allontanare il talento, e premiare solo chi può permettersi certi servizi? E davvero siamo certi che chi paga, abbia davvero il talento? Anche se fosse, non ci sarebbe una stortura pericolosa in tutto questo? Affermare: “È il mondo nuovo baby, però devi pagare”, va bene? È cosa buona e giusta?

Troppe domande, poche certezze; è il bello di questo momento. Nessuno ha le risposte, e io provo a riflettere.
L’unica cosa che posso ripetere, in maniera sommessa, è che la scrittura è un cammino. Perché abbia senso e direzione, l’autore non basta.


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