Ite, missa est
Non pontefice e né capo di Stato. Ma è Joseph Ratzinger che si è dimesso dal ruolo che la Chiesa di Roma gli aveva assegnato. Il gesto della resa prima della morte entra nella storia nella misura in cui, stando alle ragioni chiarite da Benedetto XVI nel discorso di stamani in Vaticano, il successore di Pietro lascia per aver raggiunto limiti psico-fisici che non gli permetterebbero più di onorare l’incarico. In altri termini, il teologo tedesco fatto Papa si rende conto di non essere più in grado di lavorare e decide di rimettere il mandato. Oltre ogni giudizio di merito sul suo operato e al di qua di qualsivoglia ipotesi su una regia occulta che starebbe dietro questa scelta, resta il profilo di una mossa laica, anticonservatrice, dal sapore progressista… e chi l’avrebbe mai detto! A due settimane dal voto politico in Italia (Paese lontano da analoghe uscite pubbliche), il numero uno dello Stato incastrato dentro la Capitale, leader spirituale mondiale, annuncia di farsi da parte perché la carne non lo assiste. È in questo farsi uomo del Papa che risiede tutta la non eternità di Ratzinger, la sua modernità, per dirla col direttore di Repubblica Ezio Mauro, il suo ingresso negli annali. Questo giorno è destinato a fare epoca solo se si coglie la corrispondenza fra l’indeterminatezza dell’essere Pontefice vita natural durante e il termine, invece, individuato dall’uomo svestito dell’abito talare. Il cinema ha anticipato una simile costellazione grazie ad Habemus papam (2011) di Nanni Moretti. La pellicola restituisce il volto non esangue di un vescovo di Roma che, materialmente, non se la sente di fare questo mestiere.