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E l’anima prese il volo …

Da Anna
E l’anima prese il volo …
Dalle vette dell’ Annapurna alle pagine di Mancuso
Chi ama il viaggio, ama la lentezza che confonde il tempo degli orologi. Si assimilano eventi che elaborano i ricordi della memoria. Chi ama il viaggio si confonde tra popoli altri e altre culture, perché riconosce il mondo e la sua dimora. Niente confini che segnano la cartografia dei corpi. Perdersi nei significati dei simboli riscoprendo i valori consumati dalla nostra occidentale frenesia e riscoprire che ci sono delle verità che fanno parte dell’ontologia umana.Il Nepal è stata una grande scoperta, per quel richiamo che da tempo mi portavo dentro come una eco,  Annapurna, vetta dalle mirabili fattezze, per me che di quel nome ne percepisco l’assonanza con il mio, Anna Perna, appunto!

Un paese di colori e contraddizioni, ricco di altari agli dei e mercanti di strada. Ce n’è uno ad ogni angolo, per ricordarci che uomini, dei e spiriti, convivono naturalmente, perché la morte è solo una dei tanti volti dell’esistenza.Un paese che si perde nel caos delle strade di Kathmandu, non ancora totalmente asfaltate, e al contempo vive la globalizzazione della rete … non è difficile vedere un monaco buddista che comunica con il tablet in una zona WiFi.E’ il paese del tempo che scandisce i ritmi e le stagioni tra le giornate di lavoro e le feste comandate; sono tante durante l’anno poiché l’olimpo degli dei induisti non è certamente secondo a quello dei greci.E in mezzo alla caotica vita cittadina, i monasteri e gli stupa. Ne hanno uno, a Pokara, che è addirittura dedicato alla pace nel mondo. Perché alla pace qualcuno deve pur pensarci!

E io che mi affaccio a quest’avventura in compagnia di una lettura sentita, “L’anima e il suo destino” del teologo Vito Mancuso. Non è un caso se mi sono affacciata al mondo orientale portandomi dietro le radici della nostra religione e cultura. Attraverso questo viaggio, che è stato un viaggio toccante, ho riscoperto le radici dell’anima.E’ un tema che spesso ci imbarazza perché non siamo più abituati ad l’aspetto spirituale, come se fossero rimasugli di atti folcloristici e inattuali. Ma l’uomo, per essere persona ha meno bisogno dell’ultimo Iphone che di credere in qualcosa!In ogni caso questo libro è coraggioso perché affronta i temi che sono le fondamenta del nostro essere cristiani rivolgendosi soprattutto ad un pubblico laico. E volendo ricontattare questo aspetto importante di me, cioè quello spirituale, volevo farlo attraverso un linguaggio che mi appartenesse. Allora, Mancuso!

E così, come per gli induisti e i buddisti, mi sono ritrovata a pensare che forse quest’anima, per sua stessa natura, può essere immortale!Come spiega bene U. Eco nella critica a questo libro, per gli antichi greci che chiamavano l’uomo il "mortale" e le ipotesi di sopravvivenza ultraterrena "cieche speranze (typhlas elpidas)" non c’era un’anima dentro il corpo. Per Omero l’anima è l’occhio che vede, l’orecchio che sente, il cuore che batte, il corpo vivente insomma, che è diverso dal cadavere perché è espressivo e non rappresentativo di un teatro che si svolge alle sue spalle, nell’anima appunto, come noi oggi crediamo. Poi venne Platone che, inaugurando la filosofia, ritenne che non ci si poteva fidare della conoscenza sensibile, quella fornita dai sensi del corpo, perché i corpi sono uno diverso dall’altro, invecchiano, si ammalano, sono soggetti a passioni, si alterano, per cui le informazioni che essi forniscono non sono affidabili per costruire un sapere oggettivo. Fu così che Platone introdusse la parola "anima", in greco psyche, capace di costruire un sapere, di astrarre dal sensibile. La cosa interessante di questo testo è il suo argomentarsi oltre le fonti della teologia per comunicare con la scienza. L’anima, nasce dal mondo, a partire dalla natura-physis e dai nostri genitori, ed è solamente attraverso un attento lavoro che avviene la trasformazione di forme di vita sempre più ampie ed ordinate, fino a sprigionare le sue potenzialità, nella sua unica dimora, il Bene,  in quanto pienezza dell’essere. A questo punto è plausibile pensare, come fanno le diverse tradizioni religiose, che questo livello possa produrre uno stadio superiore a noi ignoto e che dopo la morte continui nella stessa direzione. Ciò che mi colpisce non è tanto l’aspetto teologico, tant’è che il destino di vita immortale della persona viene strappato alla religione e consegnato all’etica, di cui la religione deve essere al servizio. Ma anche quest’ultima, a sua volta, rimanda all’essere del mondo cioè  alla relazione, perché è questa che sta alla base di ogni cosa, dagli informi gas primordiali ai livelli più altri dell’intelligenza. E’ ancora una volta la relazione che sta alla base del cammino dell’essere.

Ho viaggiato dentro le mie scarpe e in quello zaino ho portato via con me più dei paesaggi e dei colori. Il Nepal coincide con l’inizio di un viaggi ancora più entusiasmante, alla scoperta dell’essenza. E grazie ad esso ho ritrovato una parte rassicurante. Ho ritrovato la mia anima!

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