Metti che per vent’anni circa tu abbia desiderato, sognato, sperato di conoscere dal vivo una persona, diciamo famosa. Metti che per una fortuita congiunzione astrale, dopo tanta attesa, ti sia ritrovata faccia a faccia con quella persona. Cosa avresti fatto? Ma soprattutto cosa avresti detto?
“Ciao”
“Ciao” (certi concetti è bene ripeterli)
“Cmplmt” (trad. “complimenti”)
“No, va bè….” (trad. non pervenuta)
“Grazie”
“Grazie”
“Grazie” …
Ma andiamo con ordine. Dopo vent’anni d’attesa, appunto, ieri pomeriggio sono andata a teatro a vedere uno spettacolo con il mio idolo di sempre. E badate bene che non a caso dico idolo. Quand’ero adolescente avrei potuto strapparmi i capelli, attendere una giornata intera in piedi fuori da un hotel, fare file chilometriche per un autografo o farmi tatuare sul braccio il nome del mio cantante/ballerino/attore preferito, come faceva la stragrande maggioranza delle mie coetanee. E invece io no. Mai.
Certo apprezzavo il genio musicale di alcuni cantanti, avevo un paio di scrittori di cui leggevo tutto con profonda ammirazione e in quanto ballerina qualche punto fermo nel mondo della danza. Ma onestamente non mi sarei fatta tatuare nessuno di loro sul braccio!
Poi è arrivato lui. E, chi lo sa com’è, ma è diventato il mio Brad Pitt o George Clooney o quel che volete voi. Insomma è diventato quello per cui mi sarei strappata i capelli, atteso tutto il giorno in piedi fuori da un hotel, fatto file chilometriche per un autografo e, diciamocelo, un paio di volte ho pure pensato al tatuaggio!
Perciò capirete bene che, avendo saltato allora quella fase, ora, alla mia veneranda età, il tutto si complica un po’.
Ma si sa, quando la congiunzione astrale si fa buona dopo vent’anni d’attesa, non è che ne puoi aspettare altri venti. Devi cogliere al volo l’occasione.
E così mi reco allo spettacolo (strepitoso davvero, divertente, ironico e molto… vero): tacco dodici, mini abito e incredibile gruppo di supporto. Dopo gli applausi seguo come un’automa la mascherina. Sarà stato lo sguardo vitreo, la paralisi sulla mia faccia, o l’ “ohmammasanta” che fluorescente campeggiava sulla mia testa, ma decide di accompagnarmi fino all’ingresso dei camerini (puntualizzando che sarebbe fantastico, se mi è possibile, non svenire).
Lì c’è lui e a me non pare vero. Mi ritrovo ad un tratto adolescente, con la saliva a zero e una confidenza con la mia lingua madre pari a quella che ho col cingalese. Complice un treno per cui lui è già in ritardo, l’ansia da prestazione va alle stelle e del dialogo che mentalmente mi stavo ripetendo da circa vent’anni non rimane che quanto segue:
Io: “Ciao“
Lui: “Ciao“
Io: “Ciao” (ripeto il concetto, sia mai non sia stato colto a pieno la prima volta).
Pausa. E la mia mano si sta squagliando nella sua. Io penso “Ohmiodio” lui forse “Ohcheschifo“.
Io: “Cmplmt“, mi congratulo a mo’ di codice fiscale. Le vocali risultano non pervenute all’appello.
Lui, oltremondo gentile: “Perdonatemi la fretta“
Io: “No, va bè“, con l’espressione di quella che “No, va bè mi stai uccidendo dal dolore ma non farti problemi, eh”.
Mi fiondo a baciarlo. Se non sarà foto sarà almeno bacio.
Ma lui mi dribbla e opta per la foto. E chissà mai poi perchè!
E non trovando altri vocaboli nella mia lingua (e nemmeno in cingalese) mi lascio andare ad una sequela di “grazie” che manco fosse un santo guaritore.
Ed è avvinghiata a cozza al mio idolo di sempre, mentre penso “Vojo morì così“, che mi rendo conto che i sogni, piccoli o grandi che siano, ci tengono in piedi, ci permettono di affrontare la vita e di essere quello che siamo. E che non importa come, quando o quanto ci mettiamo a realizzarli. Perchè poi quando succede… cazzo non c’è niente di meglio!