Usciamo un attimo fuor di metafora e diciamo come si è svolta la faccenda.
Ci eravamo lasciati con il fatto che mio fratello non sarebbe stato messo al corrente di nulla, mentre io mi stracciavo la giacchetta da dosso, tirata dal patto di lealtà con i miei, e la sensazione che non sia affatto giusto che venga tenuto all'oscuro, salvo che le cose non precipitino del tutto.
Mio fratello alla fine è stato messo al corrente di un minimo indispensabile, ossia - Tua madre è stata qualche giorno in ospedale per fare degli accertamenti, visto che si è sentita poco bene, sai un po' di ansia -
Evidentemente, quel po' di "ansia" deve essere trasparito nel tono della voce nel corso dei giorni, peggiorato dal mio farfugliare frasi senza senso quando ha provato a triangolare la situazione per avere informazioni attraverso me, risultato: nel giro di 12 ore si è organizzato il viaggio, si è messo sul treno e ora sta qua.
Appena tornata a casa da scuola, ho detto: - Quindi cosa sa? Si può sapere? Vorrei evitare di fare gaffes -
In realtà non so se eviterò, sono molto tentata di dividere le informazioni con lui. Stiamo parlando di un uomo di 31 anni, che sì, vivrà pure a Milano, ma credo abbia il diritto di sapere cosa sta succedendo, come stanno le cose, proprio perchè si sta parlando di sua madre.
Altrimenti io già so come funzionerebbe la faccenda, dipenderà dalla gravità con cui verrà proposto l'eventuale intervento chirurgico.
Se non sarà ritenuta una cosa rischiosa, lo si informerà il giorno dopo l'intervento, facendogli questa rivelazione con un paio di risatine isteriche di sollievo.
Se la cosa verrà ritenuta rischiosa, gliela si dirà comunque all'ultimo momento e comunque gli verrà proposta come una cazzata.
Io però devo confessare una cosa, perchè se non la confesso qui nel mio stretto privato ( 

Sta faticando come un matto, è contento, io lo vedo sempre sereno, ma fatica come un matto. Metterlo in allarme, farlo correre qui, con lui che salta su un treno appena uscito d'ufficio, farlo cenare a quasi l'una di notte, mi ha fatto arrabbiare. Anche se solo per un attimo, ma è stato così.
Così mi tocca incuriosirmi di questa rabbia, e una teoria che mi inquieta, che ha anche un'aria un po' kleniana, è che questa rabbia nasca da un'invidia. Per la precisione dall'invidia che lei sia capace di fare un "sintomo" che ottiene molti più risultati dei miei, di sintomi. I miei sintomi, infatti, hanno sempre fatto allontanare tutti, i miei amici, le mie fidanzate (chi mi ha detto che ero come un tossicodipendente, chi mi ha detto che dovevo farmi curare, chi, ma per fortuna lei non è stata una mia fidanzata, ha detto semplicemente che ero pazza e puzzavo 
Forse le invidio il non aver saputo farmene qualcosa di utile di tutto questo male, di non aver saputo utilizzare tutto questo potenziale patologico, che comunque è di suo, per definizione, infilato in una relazione. Tanto valeva infilarlo in modo che le persone non si allontanassero tutte inesorabilmente da me.
Tanto, quando un sistemico è pessimista, pensa sempre che l'affetto puro nelle relazioni non c'è e le persone, amiche o compagne, si accoppiano semplicemente per rispondere ai propri bisogni.
Dovevo farmene qualcosa di meglio, io, dei miei sintomi.
Ecco.
