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E se i fumatori di tutto il mondo tornassero a consumare sigarette prodotte con tabacchi levantini del Salento leccese?

Da Antoniobruno5
E se i fumatori di tutto il mondo tornassero a consumare sigarette prodotte con tabacchi levantini del Salento leccese?
E se i fumatori di tutto il mondo tornassero a consumare sigarette prodotte con tabacchi levantini del Salento leccese?
di Antonio Bruno*
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La coltura del tabacco ha dato per più di due secoli prosperità al Salento leccese tanto che c’era il detto “te pacu quannu indu lu tabaccu” ovvero ti pagherò appena avrò venduto il tabacco. In questa nota alcune considerazioni su un possibile ritorno nel Salento leccese della coltivazione di questa pianta.
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Eppure se qualcuno fosse interessato all’acquisto dei tabacchi levantini la coltivazione del tabacco potrebbe riprendere. Non ci sono limitazioni nella coltivazione, insomma non è proibito coltivare il tabacco nel salento leccese, ma per farlo qualcuno deve acquistare il frutto del lavoro di una famiglia.
Nel 1812 viene istituita per speciale privilegio di Gioacchino Murat, (nato Joachim - Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – Pizzo, 13 ottobre 1815 è stato un generale francese, re di Napoli e maresciallo dell'Impero con Napoleone Bonaparte) la Manifattura Tabacchi del Salento Leccese che lavorava dagli 11 ai 12 mila quintali di foglia di tabacco che veniva prodotta nei migliori terreni di 24 Comuni del Salento leccese. .
Nel 1930 venne istituito a Lecce dai concessionari delle coltivazioni del Salento l'Istituto Sperimentale per la Tabacchicoltura Salentina "Luigi Starace Cilento", articolato in sezioni di agronomia, biologia, trasformazione industriale, propaganda e assistenza ai tabacchicoltori, con compiti di studio e sperimentazione sui tabacchi levantini. L’ epigono oggi è il Centri di Ricerca in Agricoltura CRA che a Lecce è quello del tabacco, dovrebbe gestire una azienda a Monteroni ma sinceramente non so se c’è ancora e, in tal caso, per quanto tempo rimarrà.
La coltura del tabacco ha dato prosperità al Salento leccese tanto che c’era il detto “te pacu quannu indu lu tabaccu” ovvero ti pagherò appena avrò venduto il tabacco.
Ricordo le foglie carnose del tabacco conservate nel cassetto di un uomo che non aveva figli “Cumpare Cesarinu”, io e mia sorella eravamo spesso nella loro casa chiamavamo la moglie “Mammiceddhra” che significa piccola mamma, e lui metteva queste foglie sul tavolo di legno della sua sala da pranzo e con un coltello affilatissimo ne ricavava del trinciato che poi metteva nella cartina che arrotolava e chiudeva i bordi con la saliva ricavandone una sigaretta che lui fumava avidamente.
“Cummare Annina”la “Mammiceddhra” e “Cumpare Cesarinu” di Via Unità d’Italia a San Cesario di Lecce, due persone che non dimenticherò mai, sento la loro voce, in questo momento, mentre scrivo a te che mi leggi.
Lui mi diceva che quello che stava facendo era contro la legge, aggiungeva che se lo avessero sorpreso avrebbe dovuto pagare una multa salatissima perché c’erano delle regole: le sigarette le poteva fare e vendere solo lo Stato che ne aveva il Monopolio; infatti negli anni 60 veniva assegnata una superficie a chi desiderava coltivare il tabacco e, allo stesso, veniva controllata la produzione che non poteva essere consumata dall’agricoltore nemmeno per farsi le sigarette “da sé” come faceva il mio caro “Cumpare Cesarinu”. Tutto era pianificato e controllato dalla guardia di Finanza che sanzionava duramente chi contravveniva alle regole.
I tabacchi levantini introdotti in Puglia alla fine dell’ottocento erano coltivati in prevalenza nella provincia di Lecce, coltivato da famiglie che dopo aver utilizzato i mezzi meccanici per arare il terreno e per sarchiare per tutto il resto utilizzavano l’antico e sapiente lavoro manuale.
Tutti sappiamo che 80.000 dei 200.000 proprietari del Paesaggio rurale del Salento leccese, che rappresentano il 40% dei proprietari, possiedono una superficie inferiore all’ettaro di terra ed è per questo che si erano affermate le varietà di tabacco Xanthy, Perustitza ed Erzegovina che concorrevano alla formazione del reddito e che creavano un forte indotto in termini di trasporti, concimi, antiparassitari e macchine agricole oltre che il volano delle aziende che trasformavano il tabacco.
C’è la mia amica Ronzina che ha poco più di 40 anni e che rimpiange il tempo in cui con la sua famiglia coltivava il tabacco. Il marito e i figli inquadravano il campo mettevano una corda da un capo all’altro fissata con dei pezzi di legno e piantavano le piantine di tabacco. Le piantine di tabacco erano pronte per metà aprile e si piantavano sino ai primi di maggio. Per il 13 giugno, la festa di sant’Antonio, si raccoglieva il primo palco di foglie. La mattina presto, con vestiti che poi sarebbero dovuti essere buttati via, perché il grasso del tabacco gli avrebbe imbrattato braccia e gambe. Con una mano si raccoglievano le foglie di tabacco e poi si passavano all’altra mano, dopo aver raccolto tre quattro piante si formava un mazzetto di foglie da riporre nelle mante aperte che quando erano piene si chiudevano. Nel pomeriggio si passava al lavoro di infilare il tabacco e poi si appendevano le corde “nzerte” ai telai (taraletti) per l’essiccazione.
Ad agosto le foglie di tabacco si accartocciavano e, per questo motivo, si provvedeva a raccoglierle e seduta stante si infilavano. Passato agosto a settembre si poteva riprendere con la raccolta normale.
I telai su cui veniva appeso il tabacco, dovevano essere preservati dalla pioggia perché, se le foglie fossero venute a contatto dell’acqua, sarebbero ammuffite perdendo il profumo con un conseguente deprezzamento del prodotto.
Ogni tre, quattro giorni si controllava se il tabacco fosse ben secco e, se si verificava questa condizione, bisognava fare i “chiuppi”. Si stingevano le corde e di accorciava il tabacco, poi si sganciavano le corde dai chiodi, lo spago delle prime cinque corde si attorcigliava da una parte e dall’altra, poi si passava alle altre cinque corde, si attaccavano da un capo e dall’altro per farle venire di fronte, si faceva il “pupulu” con una specie di corda da salame rossa.
Se dopo aver fatto il lavoro ci si accorgeva che ancora c’era la necessità di essiccare qualche foglia si provvedeva ad appendere “lu pupulu” per qualche altro giorno al sole, quando tutto era a posto si appendevano i “pupuli” con un rocchetto di filo di ferro sotto il soffitto. I “pupuli” rimanevano appesi sino a novembre. Per Natale tutto il tabacco veniva venduto!
Ai tempi in cui frequentavo la casa di “Cumpare Cesarinu” dopo la fine della seconda guerra mondiale, le produzioni di tabacchi levantini subirono un processo di riconversione necessario perché era mutato gusto dei consumatori di allora che volevano le sigarette di tipo americano. Più di sessant' anni fa ci fu una rivoluzione nel modo di produrre il tabacco.
Sino a cinque anni fa il Salento leccese produceva il 90 per cento del tabacco italiano di tre qualità levantine. Che tempi! Eppure è passato appena un lustro da quando nella zona del Nord Leccese veniva prodotta la Xanty Yaka, mentre fra Collepasso e Cutrofiano si produceva la Perustitza, ed infine nel Tricasino si coltiva la Erzegovina.
In tutto il Salento leccese appena cinque anni fa si coltivavano 2.500 ettari di tabacco da cui una famiglia ricavava 20 quintali l' anno di foglie secche per ettaro e 200 giornate lavorative.
La verità la conosciamo tutti: fino a quando le produzioni delle tre qualità di tabacco sono rimaste distinte, essendo molto aromatizzate, hanno mantenuto un' altissima qualità e dunque una buona risposta del mercato e, non voglio farla lunga, voglio concludere con una domanda: se ci dovesse essere una richiesta di tabacco levantino ritieni che tu possa ricominciare a produrlo nel Salento leccese? E se i fumatori italiani tornassero a consumare sigarette prodotte con tabacchi levantini? E se ci fosse un’altra rivoluzione e i fumatori di tutto il globo volessero fumarsi il tabacco levantino del Salento leccese?
*Dottore Agronomo
Bibliografia
Vincenzo Santoro e Sergio Torsello: Tabacchi e tabacchine nella memoria storica
Antonio Bruno: Dopo 200 anni rischia di scomparire la Manifattura Tabacchi del Salento leccese
Ilaria Ficarella: La crisi fantasma del tabacco 'Così va in fumo l' oro del Salento' Repubblica — 27 maggio 2004 pagina 8 sezione: DOSSIER
Mario Bozzoli: Quale futuro per il tabacco europeo?

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COMMENTI (1)

Da floriano
Inviato il 04 ottobre a 03:26
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I vecchio lavoro della coltivazione del tabacco era parecchio duro, ricordo ancora che fino a neanche 20 anni fa vedevo per il mio paese i "letti" di tabacco stesi sui tetti ad essiccare. L'essiccattura era solo la parte più facile, tutta la raccolta era parecchio dura (detto da parenti che l'hanno effettuata), ben più faticosa della vendemmia (sempre loro testuali parole). De dovesse (per ipotesi) ritornare la produzione, ci sarebbe abbastanza forza lavoro disponibile a coltivarla o sarebbe necessario utilizzare manodopera straniera?