È purtroppo assodato che, attualmente, la vita di ognuno di
noi dipende dall’economia.Siamo costretti a comprare letteralmente la nostra
esistenza su questo pianeta da quelli che controllano l’economia. Per avere di
che pagare la casa, il cibo, i vestiti e le altre necessità, dobbiamo faticosamente
ritagliarci un ruolo nel girone infernale dell’espansione di massa che
trasforma questa terra su cui viviamo in
desolanti, desolate e cancerogene distese industriali. E siamo costretti a contribuire a questo
processo non solo consumando ma anche lavorando. Siamo costretti a lavorare per
pagarci la libertà di esistere.
Per la maggior parte di noi, il lavoro non è un’attività
creativa che ci permette di esplorare i nostri interessi individuali bensì un’autonegazione,
una stressante paralisi mentale e spesso una fatica nociva compiuta solo per
guadagnare un misero salario.
Non sto ora mettendo in discussione la desiderabilità o meno
dell’industria e del commercio, è chiaro che, pur percependo la negatività
della dittatura dell’economia in continua espansione, si può solo dare il
benvenuto alla sua presenza, perché solo lei può fornire i lavori di cui
abbiamo così disperatamente bisogno per pagare le bollette.
E se non ci fossero più le bollette da pagare?
Una volta non c’erano.
Le culture indigene che sono state assimilate e distrutte
dalla società industriale e quelle rarissime eccezioni che ancora lottano per resistere
alla sua influenza, riuscivano e riescono a soddisfare le proprie necessità
cacciando, pescando, coltivando, raccogliendo e pascolando. Per loro non c’è
mai stato bisogno di sfruttatori intermediari come i capi, i proprietari
terrieri, i poliziotti, i politici esperti autoproclamatisi tali. Lontani dal
vivere una fatica, hanno goduto di un’esistenza di relativo agio, lavorando
raramente più di 3-4 ore al giorno. Inoltre, cercare cibo o coltivare in
compagnia di persone amiche godendo del paesaggio naturale è una forma di
“lavoro” molto più significativa e soddisfacente che l’attività lavorativa
meccanizzata e irreggimentata tipica dei giorni nostri.
Detto questo, mi rendo perfettamente conto che per l’odierna
popolazione della terra non è possibile vivere in questo modo (o meglio, non
viene data o non c’è più la possibilità), anche se alcune comunità alternative
riescono a condurre un’esistenza autosufficiente e sostenibile attraverso mezzi
differenti, riducendo così il bisogno di economia industriale su vasta scala,
insieme alla devastazione ecologica e ai metodi coercitivi di organizzazione
che questa comporta.
E mi rendo perfettamente conto anche che per la maggior
parte delle persone risulta difficile vivere in maniera autosufficiente, o
imparare come fare, perché devono dedicare tempo ed energia nel lavoro
salariato per pagare l’ipoteca della casa. Anche quelli che riescono ad evitare
il lavoro, oggi lo possono fare solo entro i confini di un paese devastato a
livello ambientale e in un’atmosfera politica autoritaria.
Lo so, indietro non si torna, troppe sono le cose cambiate.
Ma ciò non significa che ci si debba rassegnare all’obbligo e alla necessità di
lavorare per pagarsi la libertà. Spesso il guaio è che non si riesce a
concepire la libertà come superamento delle condizioni attuali e di tutte le
situazioni del passato.
La libertà è un'incognita da tentare, non una certezza da
riscoprire.
Magazine Società
È purtroppo assodato che, attualmente, la vita di ognuno di
noi dipende dall’economia.Siamo costretti a comprare letteralmente la nostra
esistenza su questo pianeta da quelli che controllano l’economia. Per avere di
che pagare la casa, il cibo, i vestiti e le altre necessità, dobbiamo faticosamente
ritagliarci un ruolo nel girone infernale dell’espansione di massa che
trasforma questa terra su cui viviamo in
desolanti, desolate e cancerogene distese industriali. E siamo costretti a contribuire a questo
processo non solo consumando ma anche lavorando. Siamo costretti a lavorare per
pagarci la libertà di esistere.
Per la maggior parte di noi, il lavoro non è un’attività
creativa che ci permette di esplorare i nostri interessi individuali bensì un’autonegazione,
una stressante paralisi mentale e spesso una fatica nociva compiuta solo per
guadagnare un misero salario.
Non sto ora mettendo in discussione la desiderabilità o meno
dell’industria e del commercio, è chiaro che, pur percependo la negatività
della dittatura dell’economia in continua espansione, si può solo dare il
benvenuto alla sua presenza, perché solo lei può fornire i lavori di cui
abbiamo così disperatamente bisogno per pagare le bollette.
E se non ci fossero più le bollette da pagare?
Una volta non c’erano.
Le culture indigene che sono state assimilate e distrutte
dalla società industriale e quelle rarissime eccezioni che ancora lottano per resistere
alla sua influenza, riuscivano e riescono a soddisfare le proprie necessità
cacciando, pescando, coltivando, raccogliendo e pascolando. Per loro non c’è
mai stato bisogno di sfruttatori intermediari come i capi, i proprietari
terrieri, i poliziotti, i politici esperti autoproclamatisi tali. Lontani dal
vivere una fatica, hanno goduto di un’esistenza di relativo agio, lavorando
raramente più di 3-4 ore al giorno. Inoltre, cercare cibo o coltivare in
compagnia di persone amiche godendo del paesaggio naturale è una forma di
“lavoro” molto più significativa e soddisfacente che l’attività lavorativa
meccanizzata e irreggimentata tipica dei giorni nostri.
Detto questo, mi rendo perfettamente conto che per l’odierna
popolazione della terra non è possibile vivere in questo modo (o meglio, non
viene data o non c’è più la possibilità), anche se alcune comunità alternative
riescono a condurre un’esistenza autosufficiente e sostenibile attraverso mezzi
differenti, riducendo così il bisogno di economia industriale su vasta scala,
insieme alla devastazione ecologica e ai metodi coercitivi di organizzazione
che questa comporta.
E mi rendo perfettamente conto anche che per la maggior
parte delle persone risulta difficile vivere in maniera autosufficiente, o
imparare come fare, perché devono dedicare tempo ed energia nel lavoro
salariato per pagare l’ipoteca della casa. Anche quelli che riescono ad evitare
il lavoro, oggi lo possono fare solo entro i confini di un paese devastato a
livello ambientale e in un’atmosfera politica autoritaria.
Lo so, indietro non si torna, troppe sono le cose cambiate.
Ma ciò non significa che ci si debba rassegnare all’obbligo e alla necessità di
lavorare per pagarsi la libertà. Spesso il guaio è che non si riesce a
concepire la libertà come superamento delle condizioni attuali e di tutte le
situazioni del passato.
La libertà è un'incognita da tentare, non una certezza da
riscoprire.
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