Varie ricerche dimostrano che fare coming out è una cosa buona, perchè permette alla persona omosessuale o bisessuale di sviluppare un senso di sè positivo, mentre la decisione di tenere nascosto il proprio orientamento sessuale sembra essere causa di disturbi di tipo psicologico, come difficoltà relazionali, stress e addirittura tendenze suicidarie.
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In un articolo pubblicato su Science News però, il dott. Ryan, professore di psicologia all’università di Rochester, sottolinea come il coming out non sia un fatto positivo in assoluto, ma al contrario l’esito di questo processo di svelamento dipende dal tipo di ambiente in cui la persona si rivela, che può essere supportivo, ma anche discriminatorio e stigmatizzante.
Fare coming out in un gruppo supportante e accogliente permette alla persona di fare un’esperienza positiva, che gli permette di sentirsi libero di esprimersi rispetto al proprio orientamento sessuale; al contrario un ambiente ostile annulla tutti i benefici derivanti dal coming out.
Per validare questa osservazione Ryan ha intervistato 161 persone lesbiche, gay e bisessuali, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, chiedendo loro di parlare della loro esperienza con cinque diversi gruppi di appartenenza: amici, famiglia, colleghi di lavoro, compagni di scuola e comunità religiose. I partecipanti sono stati reclutati da forum e social network in internet, e hanno risposto alle domande in forma anonima.
Per ognuno dei cinque contesti i partecipanti hanno indicato il loro livello di svelamento, il senso di benessere e la sensazione di essere accettati e supportati. Inoltre dovevano indicare il grado di accordo con affermazioni del tipo: “quando sono con la mia famiglia mi sento solo“, ” quando sono con i miei compagni di scuola ho pensieri positivi su me stesso“, “i miei colleghi di lavoro ascoltano i miei pensieri e le mie opinioni“, “la mia comunità religiosa mi permette di fare scelte liberamente“.
I risultati dello studio hanno mostrato che i partecipanti sono più aperti riguardo il loro orientamento sessuale in ambienti valutati come meno controllanti e giudicanti e questo è abbastanza ovvio, no? Gli intervistati tengono nascosto il loro orientamento sessuale nella maggior parte delle comunità religiose (69%), nelle scuole (50%), a lavoro (45%), e sono leggermente più aperti nelle loro famiglie (36%). Gli amici rappresentano per i partecipanti il gruppo più accogliente e meno giudicante: l’87% dei partecipanti, infatti, ha fatto coming out con i suoi amici.
Lo studio dimostra inoltre che l’età dei partecipanti, il genere o l’orientamento sessuale non differiscono significativamente tra chi fa coming out e chi non lo fa. Quello che si differenzia è il tipo di ambiente frequentato da chi decide di fare coming out, che generalmente è vissuto come più supportivo e meno giudicante.
Ryan sottolinea che “la maggior parte delle persone omosessuali non fa coming out in tutti i posti che frequenta. Le persone inquadrano il loro ambiente e determinano se è sicuro oppure no“. Del resto, concludono gli autori dello studio, fare coming out in alcune situazioni ma non in altre non ha alcun effetto negativo sulla salute mentale delle persone, e di conseguenza essere selettivi può essere considerato utile e non dannoso.
Alla luce dell’esperienza clinica con persone omosessuali che stanno affrontando il proprio coming out ci preme sottolineare che ognuno ha i propri tempi personali e che ogni persona è SEMPRE LIBER* di parlare o meno del proprio orientamento sessuale. Chi lo ha affrontato ne descrive spesso il senso di liberazione e leggerezza, non dimenticando però la fatica e la sofferenza nel prepararsi a questo momento così importante.
A cura delle dott.sse Valeria Natali e Paola Biondi