I tre giorni in Belgio sono filati via all’insegna delle scoperte preventivate: sapevo prima di partire che sarebbe stato un bel viaggio ed ero pronta a godermelo. Il sole e il caldo hanno fatto la loro parte, una piacevole compagnia per le vie di Bruxelles, le strade tra i campi verdi illuminati da chiazze gialle di coltivi alternati, gli antichi mattoni del castello di Jehay.
Stavano fuori in attesa mentre cacciavo il naso all’interno dei negozi di cartoleria, del Museo del fumetto ospitato in un vecchio emporio di tessuti costruito in un perfetto stile Art Nouveau , del Museo Herge’ in una Louvaine La Neuve invasa dagli scout, nel negozio di Pierre Marcolini che ha riclassificato i miei standard in fatto di cioccolato.
E lasciavano il posto ad una notte di pioggia poco convinta mentre assistevo al primo concerto del Festival della chitarra – quasi quattro ore di musica classica e world – e a quello di presentazione del nuovo album di Karim Baggili.
Tra un brano e l’altro mi son guardata intorno: si trattava in entrambi i casi di sale da concerto in centri culturali, gremite da un pubblico molto eterogeneo per eta’, vestito in modo non elegante, rifocillato da alti boccali di birra negli intervalli e tanto attento e partecipe. Il secondo concerto, in particolare, mi ha stupito per qusto motivo. Si tratta di world music che mescola influenze arabe con i canoni occidentali: l’oud, il liuto arabo, ha una parte fondamentale nei brani, per lo piu’ strumentali, che ricordano piu’ le calde sere nel deserto che non i tramonti sui pascoli erbosi, per dire. Eppure la partecipazione é stata massima, tra i giovani e i, tanti, meno giovani e la maggior parte di essi proveniva, come si poteva leggere sui tratti somatici, dalla vecchia europa. Mi sono chiesta se una cosa del genere qui potrebbe succedere: bresciani di tutte le eta’ ad affollare una sala da concerto di un centro culturale di un paese di provincia – ammesso che un centro culturale in un paese di provincia qui esista e fornisca una stagione di eventi piena e interessante – per ascoltare musica araba con l’atteggiamento di chi gia’ la conosce. Mi pare, al momento, poco probabile, anche solo per il fatto che la maggior parte delle volte vanno deserte anche le serate di musica tradizionale. Qui le sedie si riempiono solo se ci sono i grandi nomi, urlati a scampanio da campagne di marketing tanto piu’ intense quanto piu’ sostengono il vuoto dietro.
Dopo il concerto Karim é passato nel foyer, a firmare autografi in tutta tranquillita’ per chi lo ha aspettato, con in mano la locandina del concerto regalata a chi la volesse. La mia compagna di viaggio, che stravede per lui da quando lo ha sentito la prima volta suonare in una rassegna organizzata per l’appunto qui da persone che provavano a proporre qualcosa che non sia sempre la solita zuppa e non lo fanno quasi piu’ perche’ la fatica é molta e i risultati deludenti, si é illuminata come un faro nella notte quando é stata riconosciuta da Karim stesso, baciata, e ringraziata una volta scoperto che era vemuta dall’Italia apposta per ascoltarlo di nuovo, e per ben due volte in due giorni! Il trupudio é proseguito all’ora di colazione, in albergo, il mattino dopo perche’ i suonatori di oud, il Trio Joubran, sono comparsi nella hall. Abbiamo ringraziato per la musica e fatto due parole con il fratello di mezzo, un po’ in francese, un po’ in inglese per passare all’italiano quando, chiesto da dove arrivassimo, ci ha detto che si é diplomato a Cremona. Da una rapida occhiata della sua biografia, ho scoperto che é un maestro liutaio e che é stato il primo arabo a diplomarsi al Conservatorio cremonese. Ecco, a me sono mancate le parole perche’ per un attimo mi sono sentita molto orgogliosa che una persona, proveniente da una famiglia che per generazioni si occupa di costruire liuti e li suona pure, abbia deciso di rafforzare la propria preparazione artistica proprio da noi, in un centro famoso per questa tradizione. Poi, subito dopo, mi é preso il solito nervoso scoraggiato che mi invade quando penso che, il nostro,potrebbe essere un paese in cui si puo’ vivere bene, si potrebbe avere e fare cultura, si riuscirebbe ad essere moderatamente soddisfatti mentre invece ci siamo fatti imbesuire per anni e non ci viene neppure in mente che potremmo avere tanto di meglio. E poi mi sono chiesta, con tutto il mio razzismo provinciale che mi scrollo di dosso solo quando riesco a ricordare a me stessa che le folle di migranti sono composte da persone e non da corpi, quanto tempo passera’ prima che in una sala da concerti locale possano avvenire incontri di culture, davanti al panettiere, al postino, al professore, all’operaio, all’imprenditore, al pensionato, allo studente e non scontri di ideologie per spartirsi una mezza moneta.
Tintin se ne andava a scoprire il mondo, combattendo i cattivi e mentre lo faceva incontrava e capiva persone diverse da lui. I cattivi sono tra noi e il mondo lo abbiamo fuori dalla porta di casa: forse un giorno troveremo, trovero’, il coraggio per aprirla.