Ieri sera Verona, Teatro Romano, dopo una cena breve in citta’ – sempre bella, Verna – e un gelato al pistacchio, con il timore della pioggia e una settimana pesante alle spalle. L’Otello messo in scena da Battiston e dagli altri attori – forse é Iago il vero protagonista di quest’opera – é una sintesi di un paio d’ore del dramma originale. La scenografia e i costumi sono essenziali: conta solo la parola, che si avvolge e crea il dubbio, che offusca l’amore – ma era amore? – e fa montare la collera, la violenza – e poi svela l’intrigo, ma tardi, quando il sangue é stato versato e si spegne, mentre altro sangue scorre. L’assassino scappa, uccidendosi, incapace di sopportare il peso della colpa. Solo la parola, solo il dubbio scatenano l’azione. La critica sui giornali di oggi non é positiva, i rumori di sottofondo troppo rimbombanti in un audio non ben calibrato, i pareri discordi…ma io ieri ho assisto alla trasformazione dell’uomo in bestia, attraverso l’incantesimo della parola, e alla fine avevo voglia di piangere per l’insensatezza di molte cose. E se il teatro serve a rappresentare la vita, a farci rispecchiare in esso con l’aiuto della linea che divide palco e platea, per aiutarci a guardare con maggiore distanza noi stessi e se si torna a casa con la sensazione di aver ascoltato parole eterne, allora, per me, questo basta a dire che ieri ho avuto molto. La luna guarda giu’, ma la colpa e’ solo dell’uomo. E grazie agli attori.
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