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“Il popolo francese non è nostro nemico, ma nella misura in cui le decisioni dell’Eliseo saranno ostili al popolo siriano, lo Stato francese diventerà nostro nemico. In tal caso, ci saranno delle ripercussioni negative sugli interessi della Francia”. Sono le dichiariazioni del presidente siriano Bashar al-Assad in occasione di un’intervista rilasciata a Le Figaro martedì 3 settembre. Nell’ampollosità delle notizie che giungono dalla Siria e che spostano l’attenzione sugli sviluppi delle decisioni della Casa Bianca, si è dato poco risalto al primo e vero confronto “pubblico” internazionale del presidente alawita da quando si sono verificati gli attacchi a Ghouta il 21 agosto.
Durante il colloquio, Assad si è esentato dal confermare o negare se le sue forze siano in possesso o meno di arsenali chimici . Ha piuttosto ribadito che se il governo siriano fosse in possesso di queste armi, sarebbe stato “illogico” il loro utilizzo in una zona “in cui sono presenti le milizie filo-regime”. Non è la prima volta che un leader di un Paese arabo si rivolge ad una nazione occidentale coinvolta nelle iniziative preliminari per risolvere una situazione di crisi. Già Gheddafi, nel marzo 2011, scelse l’emittente francese LCI per denunciare quello che definì un complotto colonialista contro la Libia guidato dalla Francia di Sarkozy.
Dietro l’intervento di Bashar Al-Assad si cela senza ombra di dubbio una fine strategia adatta a “consapevolizzare” l’opinione pubblica occidentale dei rischi che un impegno militare potrebbe avere nei confronti dei propri Paesi. Un evidente tentativo di avvicinare la popolazione francese, sempre più scettica all’idea di un intervento, ai danni dell’immagine del presidente François Hollande, che si è più volte mostrato deciso e risoluto nel promuovere un’azione militare contro il regime alawita nell’ex colonia. Durante l’intervista, Assad è sembrato calmo e non ha mostrato segnali di ansia. Il giornalista che lo ha intervistato, George Malbrunot, ha rivelato che il colloquio si è tenuto in ufficio di grandi dimensioni all’interno di un palazzo di Damasco; con le pareti degli interni decorate da dipinti fastosi.
Presentandosi al reporter in uno stato rilassato e apparentemente imperturbabile, il presidente siriano ha chiaramente voluto dimostrare che non se ne sta rintanato in un bunker. Assad ha anche riaperto una ferita per la memoria dei francesi, rappresentata dalla figura di Mohamed Meran, l’islamista radicale coinvolto nelle stragi di Tolosa e Montauban del marzo 2012 e responsabile della morte di sette persone, tra cui tre bambini della scuola ebraica Ozar Hatorah. Con questo esempio, il leader di Damasco ha sottolineato che tra i ribelli in lotta contro il suo regime si nasconderebbero proprio alcune frange terroristiche di Al Qaeda.
L’intervista di Malbrunot fatta ad Assad ha avuto degli effetti sotto considerati dai media. Ieri mattina, durante un intervento, Hollande ha asserito che leggere le dichiariazioni del presidente alawita ha contribuito ad aumentare la sua determinazione nell’affrontare la crisi siriana con il polso di ferro. Ma nel frattempo si è ben riguardato dal prendere decisioni troppo avventate; tanto è vero che il ministro degli interni Manuel Valls ha ribadito che la Francia non agirà da sola e aspetterà le decisioni del Congresso statunitense. Inoltre, viste le crescenti proteste dell’opposizione, l‘Eliseo sarebbe disposto a fare marcia indietro per porre la questione al voto parlamentare. Il primo ministro Jean-Marc Ayrault ha fatto trapelare lunedì che l’ipotesi del voto all’Assemblea Nazionale non è del tutto esclusa.
Secondo un sondaggio pubblicato martedì 3 settembre dall’Istituto di ricerca demoscopica CSA, il 74% dei francesi chiede un voto dell’Assemblea Nazionale prima di un intervento militare della Francia in Siria. Nel dettaglio, il 42% degli intervistati esige assolutamente questo voto, mentre il 32% si ritiene“abbastanza” favorevole. I sondaggi pubblicati la scorsa settimana mostrano che quasi i due terzi dei francesi (64%) si sono opposti alla partecipazione del proprio Paese ad eventuali operazioni militari.
Ancora una volta l’opinione pubblica. Quella misteriosa variabile indipendente del calcolo politico, direbbe Thomas Huxley.