Nel marzo scorso Papa Francesco ha invitato i vescovi argentini ad “uscire” per incontrare chi è lontano dalla Chiesa, anche se si rischiano incidenti. «Ma preferisco una Chiesa incidentata», aveva scritto allora Francesco, «piuttosto che chiusa e malata».
Con questo spirito il Pontefice ha risposto alle domande che Eugenio Scalfari ha posto su “Repubblica” ed è interessate sottolineare bene quanto ha scritto. «È venuto ormai il tempo e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione», ha affermato, «di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro». Perché il dialogo, per il credente, è «un’espressione intima e indispensabile».
LA FEDE NASCE DA UN INCONTRO GRAZIE ALLA CHIESA
Francesco ha spiegato fin da subito come è nata in lui la fede. Non in un modo isolato, una rivelazione personale dall’alto, un ragionamento o una dimostrazione scientifica di Dio, ma semplicemente vivendo la vita della sua comunità parrocchiale: «La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità».
Senza la Chiesa non avrebbe potuto incontrare Gesù, dice il Papa, cioè non si può prescindere da essa per vivere il cristianesimo. Non esiste un cristianesimo personalizzato ed emancipato dalla Chiesa: sempre il Pontefice aveva detto in una recente udienza: «Ancora oggi qualcuno dice “Cristo sì, la chiesa no, io credo in Dio ma non nei preti”, si dice così? Ma è proprio la Chiesa che ci porta a Cristo e ci porta a Dio, è la grande famiglia della Chiesa, che ha anche aspetti umani, nei pastori e nei fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati»
L’ORIGINALITA’ DEL CRISTIANESIMO RISPETTO ALLE ALTRE RELIGIONI
Scalfari stesso chiede a Francesco come capire l’originalità della fede cristiana poiché essa fa perno sull’incarnazione del Figlio di Dio rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.
Il Papa risponde: «l’originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell’amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell’unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione».
Da questo ne consegue «quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel “dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare”, affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell’Occidente».
LA FEDE NON E’ FUGA DAL MONDO MA SERVIZIO AGLI UOMINI
Sempre parlando della laicità, invenzione cristiana, il Pontefice ha spiegato i rispettivi compiti della Chiesa e dello Stato: «la Chiesa è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l’amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana».
Così, «per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là».
DIO PERDONA GLI UOMINI DI BUONA VOLONTA’
Un’altra domanda del fondatore di “Repubblica” verte sull’atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù e se Dio perdona chi non crede e non cerca la fede. Francesco risponde: «Premesso che – ed è la cosa fondamentale – la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire». Come sempre spiegato dalla Chiesa, anche l’uomo di “buona volontà” che cerca di fare il bene così come la sua coscienza gli suggerisce, sarà salvato.
Il relativismo sbaglia, dunque, il bene e il male possono essere percepiti da ogni uomo che vive rettamente il rapporto con la sua ragione. Bisogna ascoltare la propria coscienza e arrivare alla verità, in quanto essa esiste ed è raggiungibile da ogni uomo. Per questo i non credenti possono essere sulla stessa strada dei credenti in quanto anche loro possono seguire la cosiddetta legge naturale, presente in tutti i figli di Dio.
LA VERITA’ E’ RELAZIONE CON DIO
Ma cos’è la verità? Hanno ragione i relativisti a dire che non esiste ed esistono solo opinioni soggettive? No, dice il Papa, «per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”?».
Recentemente lo abbiamo spiegato anche noi su UCCR, rispondendo ad Umberto Veronesi. Scrivevamo: «I principi morali non bastano, non spiegano perché, se esiste solo questa vita bisognerebbe essere coerenti con essi se si è più felici e ci si avvantaggia comportandosi in altro modo. Occorre andare oltre all’uomo, serve il rapporto affettivo con il Padre, al quale si obbedisce per propria convenienza o per semplice fiducia in Lui, così come il figlio fa con il proprio genitore. Solo in un rapporto ha senso l’obbedienza».
IL CRISTIANESIMO NON E’ UN’IDEA O UN’IDEOLOGIA
Secondo Scalfari, con la scomparsa dell’uomo sulla terra scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. «Certo», ha risposto Francesco, «la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio – questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! – non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela – e vive il rapporto con Lui – come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra – e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno – , l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui».
LO SCOPO DELLA CHIESA E’ TESTIMONIARE GESU’
Concludendo la sua lettera, il Pontefice ha scritto: «La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall’Abbà “a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19)».
La redazione