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Eccolo lì

Creato il 11 aprile 2013 da Lundici @lundici_it
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Alle ore 20,10 della serata tempestosa del 13 marzo del 2013 è annunciato l’evento che dà carbone ai rutilanti altiforni dei media. Fumata bianca e arroventata: Jorge Bergoglio è diventato Papa Francesco I.

Fuori dalle grandi manovre dei 115 elettori cardinali, vi erano persone senza anelito alcuno al potere e desiderosi di conoscere il loro prossimo pastore. Nessuno bramava di avere anticipazioni, solo i giornalisti, assetati di scoop salva esistenze, computavano ipotesi, snocciolavano pronostici in attesa della loro conferma, a pochi euro, del posto di lavoro.

In mezzo a tutto il bailamme che genera un evento di tale portata, vi era un uomo (l’uomo forse?), che con pazienza infinita attendeva, sospeso tra un sogno di fede e una fede sognante. L’uomo della foto – uno splendido scatto di Daniele Balducci – se ne sta ricurvo, appollaiato in ginocchio, agganciato al suo fermo bastone. Il saio lo avvolge e lui ammanta l’atmosfera quasi che tutto si possa trattenere in un attimo che non abbia nulla a che vedere con l’attesa del nuovo Papa. Un’attesa divenuta materia per talk show o vaticanisti più affini ad uno scommettitore ippico.

Che cosa attende, dunque, quell’uomo?

Dando per assunto che stia attendendo qualcosa o qualcuno, il pellegrino armato di barba e saio rivolge lo sguardo verso il basso, per nulla in segno di sconforto ma più come un umile gesto di accettazione. Non ha fretta e non reclama niente, attende. E sembra sereno e fiducioso.

Quell’uomo attende e crede probabilmente; risponde, con le sue ginocchia interrate e inzuppate, al mare del moderno, alla velocità del relativismo comprensivo di elementi inconciliabili, risponde alle puntute pretese di chi crede di conoscere il mondo, risponde attraverso un gesto immobile piuttosto che con la verità costruita da un manufatto hi-tech reclamante tre o quattro o mille cose da fare insieme.

Credere come fa il pellegrino non è un modo per invitare gli altri ad essere cattolici, ma è uno sguardo, per chiunque non si senta rappresentato o sollevato dalla religione, verso l’umano. Finalmente, ecco l’uomo, nella sua semplicità meno compromessa. Non si sa che cosa guardi, non si sa che cosa veramente stia aspettando (non è d’altra parte un’attesa assurda alla Godot), il suo è un manifesto di resistenza al coinvolgere anodino della vita di tutti i giorni.

Sospeso tra l’acqua ristagnante e l’acqua cadente, il pellegrino è silente, alabardato del suo mantello di povertà, circondato dalla nuvolaglia di gocce e umidità, mentre al tempo stesso milioni di flussi di notizie alludevano, azzardavano, cianciavano di chi sarebbe potuto essere il nuovo erede petrino.

L’immagine rappresentata è, come il protagonista, senza tempo o spazio: potrebbe essere alla fine del mondo, o del tempo, o all’inizio dei medesimi. O a un “reinizio”. Non si sa, ma lui sta fisso, quasi che il gorgoglio prossimo degli osanna al nuovo Papa non lo riguardasse.

Sta lì, incurante di imbrattarsi, sordo al temporale, incapace di ritenersi strambo allo sguardo di qualcuno che avrebbe potuto esclamare: “Guarda quel folle che si prende tutta l’acqua del mondo”.

L’acqua del mondo, invece, è un elemento che fa parte della vita e per questa ragione non occorre opporglisi, ma solo farsela scivolare addosso. L’uomo-pellegrino non avrebbe la forza di combattere la tracotanza del razionalismo o l’indifferenza di un cipiglio che lo individua per derubricarlo come un pazzo, e non l’avrebbe perché non gli interessa farlo. Quello che a lui interessa è attendere con serenità al volgere del mondo, sicuro che la fede possa condurlo alla salvezza e al perdono.

Non tutti possono capire questa forza – chi scrive fa fatica – ma tutti ne possono apprezzare l’intensità, le forme, la prossemica, il cocciuto “stare” che si contrappone all’altrettanto testardo “andare e venire” a cui la contemporaneità continuamente condanna.

Cresciuti in compagnia di parole come rapidità, velocità, competitività, furbizia, il pellegrino mostra agli uomini un diverso sentire che inaugura un nuovo secolo. Un secolo che implora disperatamente un rallentamento del presente per riflettere sul futuro e sul passato.

Eccolo lì
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