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Eclisse parziale, sfida totale

Creato il 06 gennaio 2011 da Stukhtra

Anche lei serve alla scienza

di Costantino Sigismondi

Il Sole ha un suo diametro ben preciso, nonostante sia una sfera gassosa, e attorno a questo fatto ci sono molti scienziati che si prodigano nel misurarne le minime variazioni. Le implicazioni climatiche sono importantissime, visto che l’umanità in un anno rilascia l’energia che il Sole ci somministra in un’ora. La conoscenza del diametro della stella deve perciò essere migliore di una parte su 10 mila (cioè pressappoco, per dare un’idea, quante ore ci sono in un anno), in modo da poter escludere che il riscaldamento globale, se c’è realmente, sia di origine solare.

Un’eclisse offre la possibilità di misurare il diametro, o una corda ben precisa del disco solare, attraverso il tempo che il disco lunare impiega per passargli davanti. Nel caso di un’eclisse parziale occorre misurare esattamente gli istanti del primo e dell’ultimo contatto. Questo discorso, come quasi tutti quelli in campo scientifico, va bene però in prima approssimazione. Guardando attentamente il profilo lunare si scopre che mostra monti e valli, che vanno su e giù rispetto a un “lunoide” ideale, liscio e leggermente schiacciato ai Poli. Oggi esistono programmi che ricostruiscono il profilo del lembo lunare per ogni fase della librazione lunare, valendosi anche dei recenti dati (pubblicati nel novembre 2009) della sonda giapponese Kaguya. Questi dati sono stati ottenuti con un laser altimetro e hanno una precisione di un metro in altezza, ma sono disposti su una griglia con un punto per ogni chilometro.

La ragione per cui mi sono recato a Locarno per l’eclisse del 4 gennaio 2011 è stata quella di raccogliere delle immagini del profilo lunare alla massima risoluzione, così da poter controllare la bontà dei nuovi dati giapponesi, almeno per il profilo che la Luna ha offerto. Tuttavia, anche se le nubi l’hanno impedito in quell’occasione, il lavoro agli astronomi non manca mai. Abbiamo ricevuto dati dai colleghi del coronografo dell’Osservatorio di Bialkow, in Polonia, il più grande del mondo, che hanno osservato in team con noi e che sono riusciti nell’impresa impossibile sotto il cielo del Ticino.

Finora le verifiche del profilo di Kaguya sono state fatte per qualche occultazione stellare radente: una stella scompare e ricompare più volte sotto le montagne e le valli che si stagliano presso uno dei Poli lunari. Il problema è che ai Poli la risoluzione dei dati di Kaguya è migliore che all’equatore, dove non possono avvenire occultazioni radenti ma solo normali e, come sanno bene gli esperti di occultazioni (e il 4 gennaio alla Specola Solare Ticinese erano tutti lì…), il timing di un’occultazione dev’essere perfettamente sincronizzato con il Tempo Universale per poter usare l’osservazione come un vero e proprio altimetro. In altre parole, un’occultazione radente offre una serie di eventi per i quali si può fare anche a meno di conoscere il tempo assoluto: basta una ripresa video per ricostruire il profilo locale dei monti e delle valli. Mentre in un’occultazione normale il tempo assoluto è indispensabile.

Eclisse parziale, sfida totale

Una spettacolare foto dell'eclisse del 4 gennaio 2011 presa da Thierry Legault con un telescopio rifrattore da 10,6 cm Takahashi FSQ-106ED su montatura EM-10, Canon 5D Mark II, 1/5000 s di esposizione a 100 ISO. Oltre alla Stazione Spaziale Internazionale, si notano le montagne sul bordo lunare, leggermente colorato di rosso, a causa della risoluzione angolare del telescopio che immette fotoni solari sulla superficie nera della Luna. Lo spessore del rosso corrisponde all'incirca a 1 secondo d'arco angolare: quanto la risoluzione teorica per diffrazione di quel telescopio. (Cortesia: T. Legault)

Un’eclisse parziale offre un’ampia visuale del bordo lunare grazie al contrasto con la fotosfera solare, equivalente a un campionamento realizzabile da infinite sorgenti puntiformi: un buon motivo per recarmi all’IRSOL da Roma per approfittare anche di pochi minuti di Sole durante la fase massima dell’eclisse. Nel 2008, il 1. agosto, mettemmo a punto un esperimento per una misura differenziale in due differenti lunghezze d’onda (nel blu e nel rosso) di un’eclisse dell’8 per cento. Quella era veramente piccola e la notizia del fenomeno arrivò ai media solo perché alcuni astrofili erano partiti per la Cina per osservare la totalità. Come si può sfruttare un’eclisse solare così piccola per scopi scientifici? Ebbene, l’idea è semplice ma efficace: se immaginiamo che il Sole abbia due bordi, uno rosso più esterno e uno blu più interno, molto vicini tra loro, e tracciamo una linea che taglia una corda, quanto più questa corda è piccola tanto più la corda blu interna risulterà piccola rispetto a quella rossa esterna. Al limite di un’eclisse radente quest’effetto sarebbe massimale.

Eclisse parziale, sfida totale

Schema dell'eclisse radente del 1. agosto 2008, osservata all'IRSOL, e della ragione per cui i diametri in due lunghezze d'onda diversi producono diverse durate dell'eclisse tra primo e ultimo contatto. (Da C. Sigismondi, M. Bianda e J. Arnaud, European Projects of Solar Diameter Monitoring, AIP Conference Proceedings, Volume 1059, pp. 189-198, 2008)

Eclisse parziale, sfida totale

Immagine del Padre Cristoforo Clavio con un testo sul calendario gregoriano e un quadro di Papa Gregorio XIII Boncompagni, promotore della riforma del calendario del 1582. (Cortesia: Archivio Storico della Pontificia Università Gregoriana)

L’osservazione dell’eclisse del 1. agosto 2008 diede praticamente l’avvio al progetto Clavius, che ora vede la collaborazione internazionale della SUPSI di Lugano, dell’Università dell’Insubria a Como, dell’Università “La Sapienza” di Roma, dell’Istituto di Astrofisica di Parigi e dell’IRSOL. E ci fu anche il battesimo del progetto, che porta il nome dell’astronomo gesuita Cristoforo Clavio, che osservò l’eclisse del 9 aprile 1567 da Roma e ne descrisse la fase massima, durante la quale la Luna restava circondata da un anello di luce. Jack Eddy nel 1978 riprese questa notizia per sostenere che il Sole nel 1567 poteva essere più grande di oggi. Ma c’era un problema: il Modello Solare Standard, l’unico vero modello di evoluzione stellare che viene testato con la stella che conosciamo meglio. Tutte le equazioni dell’idrostatica, della termodinamica, i coefficienti delle reazioni nucleari al meglio delle conoscenze attuali, le abbondanze chimiche e l’età sono inclusi nel Modello, che ha come gradi di libertà solo l’abbondanza di elio e la mixing length, la lunghezza percorsa da un elemento convettivo prima di perdere la sua identità, nella zona più esterna dove avviene la convezione. E il Modello Solare Standard non ammette troppa libertà nella variazione del diametro, perciò l’osservazione di Clavio fu un po’ trascurata negli anni successivi.

Solo alla fine del 2010, dopo decenni di video sulle eclissi moderne e anni di analisi dei dati dei loro Baily’s beads, si è cominciato a capire il ruolo della regione appena sopra la fotosfera, piena di righe di emissione a ogni lunghezza d’onda. Una regione che poteva essere percepita a occhio nudo come luce bianca… disposta ad anello in quell’antica eclisse romana. Qualcuno ha pensato che Clavio non avesse sufficiente esperienza osservativa, come noi oggi. Ma il gesuita aveva ragione. Egli aveva già osservato un’eclisse totale a Coimbra nel 1560, e l’Almagesto con i parametri ancora al tempo di Tolomeo gli impediva di concepire un’eclisse anulare, poiché la Luna doveva essere comunque sempre più grande del Sole in base ai dati antichi. Questo ci mostra, tra l’altro, come le misure di diametro siano state da sempre molto complicate e difficili. Clavio dunque, nel pubblicare la propria osservazione di eclisse anulare, prese una posizione ben precisa, che “terremotava” lo status quo tolemaico. E mantenne questa posizione anche quando Keplero, per ben due volte tra il 1606 e il 1611, gli mandò a chiedere se non fosse stato l’effetto soffuso di un’atmosfera lunare.

Infine l’eclisse nubilada dal Ticino mi ha suggerito un esperimento utile per gli studenti: con la mia macchina fotografica digitale ho ripreso la zona coperta di nubi dov’era il Sole, e dai tempi di esposizione ho ricavato i dati sull’intensità luminosa. Al sottile piacere di misurare non si può rinunciare…


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