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Edipo re di Sofocle alle rappresentazioni classiche di Siracusa

Creato il 09 giugno 2013 da Spaceoddity

Edipo re di Sofocle alle rappresentazioni classiche di SiracusaEdipo conobbe il suo destino, ma sapeva solo quello. Previde il male, tuttavia non seppe sfuggirlo, né valutare la realtà, la situazione in cui si trovava. Una volta gli avevano detto che avrebbe ucciso il padre e avrebbe sposato la madre; e allora, nella sua pietà religiosa, nella sua fede sincera, si allontanò con orrore da quella che credeva la sua casa, cercò di sottrarsi al vaticinio, finché non incappò in un vecchio e lo uccise. Poi risolse un enigma, la cui risposta era l'uomo (perché l'uomo è sempre la risposta), e per questo gli venne concessa in sposa la vedova regina di Tebe. Ottenne la corona per il suo misfatto e per lo stesso motivo condannò il suo regno a una pestilenza. L'ignaro Edipo chiese, dunque, ancora aiuto all'oracolo: e l'oracolo gli rivelò l'urgenza di trovare, nell'assassino del vecchio re Laio, la causa della condanna alla città. L'uomo intraprese la strada della ricerca e ogni passo fu una spietata e lucida conferma, ogni conferma una tessera di quel mosaico che vede nell'uomo il suo fulcro e nella realtà il suo insondabile mistero.
Edipo re (429 a.C., tit. or. Οἰδίπους Τύραννος) di Sofocle è la tragedia per antonomasia della cultura greca. Quella che, anche grazie all'interpretazione posteriore (in primis aristotelica), rappresenta il modo stesso di intendere il genere e un'idea tragica dell'uomo; Edipo re è la tragedia che ogni volta si riscopre, l'opera nella quale ci si ritrova. Non è neanche problema di tragedia perfetta, cioè compimento e acme di una forza espressiva, bensì siamo di fronte a una vera e propria epifania della tragedia stessa, la sua più intrinseca manifestazione. Nell'indagine del re, nell'inchiesta spietata contro ogni impurità risiede il progressivo assestamento del destino nel cuore dell'uomo. Mai tragedia ha espresso con più potenza il dolore esistenziale dell'essere umano: tutto è già accaduto, la tragedia sta nel suo manifestarsi contro un essere inchiodato alla sua sofferenza. Non è un caso se, quando (nel 1932) Jean Cocteau rivisitò a suo modo il mito, lo concepì come una macchina infernale. Ogni nuova scoperta per il protagonista è una tappa dell'esecuzione di una condanna.
Lo spettacolo che Daniele Salvo ha allestito per il XLIX ciclo di rappresentazioni classiche dell'INDA a Siracusa, sul testo ormai consolidato di Guido Paduano, non rinuncia a rivisitare uno degli archetipi culturali europei. Molto applaudito dalle donne per la prestanza fisica dello splendido protagonista (Daniele Pecci), l'allestimento di Salvo si fa apprezzare da tutti (e in particolare dai più giovani) per la sua energia immaginifica e per il ritmo serrato impresso alla messa in scena. Incombe sui personaggi la presenza di una testa femminile orbata, priva di naso, muta: forse il destino, forse la stessa Necessità tragica, la creatura dall'aspetto di pietra sembra - fino a un certo punto - imperturbabile e comunque, impermeabile alla vita dei protagonisti, salvo poi palesare il senso stesso della tragedia. Le fa da contraltare, per parte sua, lo spettro scatenato e furioso della sfinge, in un ruolo cantato da musical che mi ha lasciato perplesso per la sua concezione poco sobria o pertinente, ma che senz'altro ha un riscontro sicuro nell'ottima prova interpretativa di Melania Giglio.
Edipo re di Sofocle alle rappresentazioni classiche di SiracusaDel resto, bisogna dire che anche certi eccessi della regia si spiegano e si reggono: il coro degli appestati rende conto della necessità per il re di Tebe di intraprendere la sua mefitica ricerca. Edipo aveva il dovere morale di evitare tanto dolore alla sua amata gente. La messa in scena, dunque, nasce da una corretta impostazione del problema (la tragedia è inevitabile per un re che ami i suoi sudditi e voglia salvarli) e, per il resto, segue in modo pedissequo e intelligente il testo. I rapporti tra i personaggi sono trasparenti e ben esplicitati. Rassicurano senz'altro nelle attese sia il Tiresia di Ugo Pagliai, che il Creonte di Maurizio Donadoni, il quale raddoppia il ruolo nell'Antigone di quest'anno (e conferma la bravura che io ricordo dai tempi del suo splendido Fosse piaciuto al cielo). Ottima, regale, anche la Giocasta di Laura Marinoni, una donna di sensuale temperamento tragico, capace di duettare in modo magnifico con il mattatore Pecci. La messa in scena risulta nel complesso molto efficace e suggestiva e si perdona a Salvo una certa enfasi cinematografica - ivi compresi gli inutili sospiri amplificati e le insistite mezze voci - perché questo Edipo re si lascia scoprire ancora e commuove gli spettatori. A me non par poco.


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