di Mauro Baldrati
(da Nazione Indiana)
“I librai prenotano pochissime copie dei libri di narrativa. Non si fidano. Sanno, o qualcuno ha detto loro, che venderanno solo un piccolissimo numero di romanzi italiani, e solo di alcuni autori” scriveva Enrico Piscitelli su Alfabeta 2.
Qualcuno ha detto loro.
Ma non solo ai librai. Quel “qualcuno” è per esempio il distributore, che valuta un autore unicamente dalla pesatura di mercato, senza avere necessariamente letto un solo rigo della sua opera. Anche ai piccoli editori capita di sottoporre un progetto editoriale al loro distributore, per sentirsi rispondere che è destinato al fallimento perché il tale autore “non vende”. Così un’opera che potrebbe essere stata generata da una rispettabile macchina di produzione di immaginario non vedrà la luce perché l’addetto al mercato decide che non possiede una serie di requisiti essenziali per renderla competitiva. Di cosa parli, con quale stile, di quale sfida letteraria sia portatrice non è importante. I requisiti richiesti sono altri.
Deleuze li avrebbe chiamati “segni mondani”, i segnali dell’opera proustiana più superficiali, più periferici e bugiardi, i segni che si sprigionano dalla dissipazione del tempo e della vita nell’inutilità dei salotti del faubourg, tra le chiacchiere di svagate principesse, generali a riposo, signore nevrotiche e innamorati respinti.
Oggi questi segni mondani – i requisiti indipendenti e indifferenti all’opera – sembrano dettare legge. Forse l’hanno sempre dettata, ma di questi tempi la situazione sta assumendo sempre più le caratteristiche di un regime di Terrore: nel 2010 le catene, gli store, hanno superato il 50 per cento del fatturato complessivo; molte librerie indipendenti sono costrette a chiudere, assorbite dalle catene (circa 150 negli ultimi due anni). Le quali, se da un lato possono permettersi sconti sui prezzi di copertina, dall’altro impongono anche l’estetica dei testi, il “genere”, le mode; si arriva al Grande Terrore durante le festività, con le vetrine occupate militarmente da pile di Ken Follett, Umberto Eco, Giorgio Faletti, Andrea De Carlo, Lars Kepler, Bruno Vespa (con la foto dell’autore sottoposta a uno straordinario intervento di chirurgia estetica con photoshop) con qualche lodevole eccezione, per esempio Nazim Hikmet che, come dice il proverbio, conferma la regola. Nel regime del Grande Terrore, che rischia di diventare entropia, coi titoli di editori minori che non vengono esposti ed escono dal giro dopo poche settimane, “hai voglia a pubblicare libri di qualità. Hai voglia a lavorare per anni a un libro, perché sia quanto di meglio il pacchetto autore-editore possa sfornare. Tutto il lavoro che c’è dietro a un libro non è minimamente premiato” scrive ancora Piscitelli.
Come uscire dal Grande Terrore? Non facciamoci illusioni. Noi, e i nostri figli, non rivedremo le grandi pianure d’Africa di nuovo popolate di elefanti, leoni, rinoceronti e gazzelle che vivono in armonia con l’ambiente. Forse però continueremo a vederli nelle riserve e nei parchi naturali. Il Grande Terrore può causare l’estinzione della letteratura perché non è detto che il bisogno ancestrale dell’uomo di produrre e godere dell’arte sia vincente sulle regole (e la mancanza di coraggio) del mercato. Si tratta dunque di creare delle riserve, dei parchi naturali, zone libere ma di qualità, difenderle e sostenerle. Fortificarle, renderle autosufficienti, come le colonie dell’antica Britannia raccontate da Jack Whyte nelle Cronache di Camelot.
Carlo Cannella illustra nell’intervista che segue il suo progetto.
In questi tempi di occupazione degli spazi – distribuzione, promozione, punti vendita – da parte delle major editoriali uscire con una nuova collana, da piccolo editore indipendente, è una bella sfida. Come pensi di vincerla?
È vero. La produzione della piccola editoria di qualità ha cessato di esistere come evento librario. Inutile rimanere sugli spalti, la partita è finita. Anche ammettendo che i miei libri arrivino in libreria è inevitabile che siano poi destinati a rimanervi sepolti, nascosti sotto montagne di altri volumi, posizionati in luoghi inaccessibili, infine resi dopo un tempo che mediamente non supera le tre settimane. Mi sto dunque abituando all’idea di rinunciare a qualunque legame con le librerie, anche semplicemente a presentarvi i miei libri, poiché si tratterebbe solo di pagare un pegno a un’istituzione che, semplicemente, non si preoccupa più di sostenermi, ma solo di usarmi per il proprio piccolo interesse. In via generale sono del parere che utilizzare ancora le librerie significhi, per un piccolo editore, contribuire alla propria estinzione. Sono dunque alla ricerca di altri canali di diffusione. In primo luogo i distributori automatici (stiamo definendo un accordo commerciale con la catena di negozi a marchio Automatic Free Shop, 140 punti vendita in Italia). Non solo bevande e merendine, dunque, erogati dai distributori, ma anche libri. In secondo luogo i venditori di strada (studenti, poeti, disoccupati, senza fissa dimora) a cui generalmente devolviamo il 40% del prezzo di copertina, contribuendo al loro mantenimento e rinforzando il contatto diretto con i lettori. Infine negozi di vario genere ubicati nei “luoghi del viaggio”: stazioni ferroviarie e degli autobus, metropolitane, aeroporti. 24 titoli di autori diversi, per età, stili, contenuti. C’è qualche sintesi che puoi fare?
Elementi in comune, argomenti o linguaggi che ti hanno colpito?
50.000 battute senza spazi è un testo impegnativo. Richiede, nel migliore dei casi, una settimana di lavoro. Poiché non sono stati versati anticipi, come hai convinto 24 autori, alcuni già con una produzione consolidata, a partecipare a questo progetto?
In generale mi è bastato illustrare l’idea, il sistema di distribuzione che avevo intenzione di utilizzare, quel tocco di visionarietà progettuale (o follia come ha detto qualcuno) che da sempre affascina e coinvolge il talento. C’è anche da dire che con alcuni di essi avevo già avuto modo di confrontarmi ai tempi del’ esordio editoriale di SenzaPatria, l’antologia “Assedi e paure nella casa Occidente”, in cui, fra gli altri, erano confluiti racconti di Bernardi, Bariani, Morozzi, Binaghi, Vallorani, Sartori, Garufi, Solla, Bassini, Magliani, Cenciarelli e Gregori. Con Marino, dai tempi del mio esilio in Olanda, si è anche aperta una collaborazione editoriale, essendo lui il curatore della collana “Sostengo Pereira”.Oggi si forniscono dati che vengono discussi, talvolta contraddetti, però sembra verosimile che la tiratura di un romanzo o di un’antologia pubblicati da un piccolo editore si attesti sulle 500 copie. Che tiratura hanno i tuoi libretti?
Ho fiducia in questo progetto. Mi sono esposto. La prima tiratura di ogni titolo è stata di 1.000 copie.