Magazine Maternità
Mi hanno insegnato, fin da piccola, l’educazione. È un dato di fatto, sono educata. Sono ancora una di quelle che se vedono una persona anziana o una donna incinta in piedi in metropolitana, si alzano e la fanno sedere. Buongiorno, buonasera, grazie, per favore. La prima parolaccia che ho adoperato è stata uno striminzito “scemo” detto a bassa voce a mio fratello all’età di dieci anni. Certo, poi mi sono rifatta. Da “Il tempo delle mele” (oh! Chi di noi non ha sognato guardando quel film?) che ho visto a tredici anni al cinema dell’oratorio ho appreso il vocabolo “Merde!” e lo dicevo così (alla francese, “Meerrrd!”) perché mi faceva sentire più chic e meno volgare, poi, ho iniziato a usare il sinonimo italiano per essere certa mi capissero tutti. Adesso ne dico troppe, di parolacce, ma è un altro discorso…
Sto cercando di insegnare a mio figlio quello che, a suo tempo, i miei genitori hanno insegnato a me (anche con relative sgridate), non so se ci stia riuscendo appieno ma è un dato di fatto che Filippo non dica ancora parolacce. Per intenderci, in prima elementare è tornato a casa confidandomi stupito che qualcuno, in classe, le diceva e, una volta, ai giardinetti è corso da me a chiedermi: “Mamma, hai sentito cosa ha detto X a sua nonna?”.
Veramente, che dopo aver frequentato la scuola materna dalle suore, l’ambiente della scuola pubblica potesse riservargli qualche “novità”, l’avevo messo in conto… Quale migliore “scuola di vita” della scuola pubblica? Eh, eh… la spiaggia, i giardinetti, tutti i momenti di socializzazione. La vita, appunto.
Vedo molti bambini maleducati e arroganti, anche nei confronti degli adulti. Anche il mio a volte lo è, allora lo sgrido. Per dire… se, in spiaggia, ordina qualcosa al bar e non dice “per favore” e “grazie”, sa che mi incavolo parecchio: “Quelle persone non sono a tua disposizione, un per favore e un grazie, sempre”.Altri genitori (o nonni), no. Fanno finta di niente, di non sentire e di non vedere. E, in caso, giustificano sempre il proprio pargolo (è stanco, è nervoso, si fa trascinare dai più grandi).
Non so, forse esagero ma se fino ad oggi Filippo non ha ancora preso a calci una cabina e non mi ha ancora mandato a quel paese o mancato di rispetto, vuol dire che qualcosa di buono, magari, ha appreso. Metto in conto, comunque, che quando sarà adolescente possa capitare che mi fanculizzi. Ci sta. Ma anche no, non è detto.
Insomma, se sentite il mio settenne dire una parolaccia, sappiate che gliel’ho insegnata io perché inizio a pensare che, se questa è la realtà, debba in un certo qual modo adeguarsi.
Perché l’educazione, a volte, è considerata debolezza. Dagli stolti, ovvio.