Pubblicato da giovanniag su gennaio 11, 2012
Recensione di Giovanni Agnoloni
Definire Franz Krauspenhaar un poeta è riduttivo, e non solo perché è anche un romanziere.
Ce lo dimostra la sua nuova pubblicazione, la raccolta poetica edita da Zona, che ha per titolo le sue iniziali, Effekappa. Quasi un imperativo consonantizzato, che si fa personaggio e declina se stesso e il proprio grumo gutturale in una varietà di sfumature che sono lirica, flusso di coscienza e dialogo intimo.
FK è ego, un ego spropositato. Ma è anche Sé, o aspirazione al Sé. È ferita aperta, nucleo di oscurità rappresa in un attimo di consapevolezza pura. FK è un monaco zen che s’incazza, un uomo sconvolto che scopre, nella ritualità dei suoi gesti, contratti e magari iracondi, di essere saggio. Perché l’illuminazione arriva quando decide lei, a dispetto di ogni tecnica.
FK vive ogni momento, si dà tutto, ai dadi per il brodo come alle cicche di sigaretta, ai ricordi di bagni in vasca dell’infanzia come all’immagine di una donna-Anima, capace di venirlo a prendere e a salvare.
FK è Milano, ma è anche l’ombra di quella Mitteleuropa che diede i natali a un altro FK, il celeberrimo Franz Kafka, che divide a metà con lui la copertina del libro. Quello, figlio di un’epoca dove la scissione dell’uomo dal suo centro era cominciata da relativamente poco, con la devastazione psicologica portata dall’industrializzazione. Questo, col nome tedesco ma l’accento de Milàn, figlio di un’era postmoderna dove già rendersi conto di essere lacerati sarebbe un risultato. FK sa di esserlo, e canta (con raffinatezza da scrittore avvertito) a una luna che, se c’é, come minimo lo ignora.
Però è bella. Maledettamente bella.