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Effetti Collaterali (di Steven Soderbergh, 2013)

Creato il 22 agosto 2013 da Frank_romantico @Combinazione_C
Effetti Collaterali (di Steven Soderbergh, 2013)
Vorrei iniziare mettendo le cose in chiaro: io non ho niente contro il regista Steven Soderbergh. Lo reputo un mestierante bravo, ma di maniera. Mi è piaciuto con Ocean's Eleven o con Che - L'argentino, ma ha girato uno dei remake più brutti dell'universo (Solaris) mentre tutto il resto non l'ho mai trovato degno di nota. Francamente mi annoia. Effetti Collaterali è il suo ultimo film (e questa è la sua recensione). E per ultimo intendo proprio l'ultimo, poiché il nostro Steve ha affermato che d'ora in avanti si dedicherà a musica e teatro. Sarà vero? Sinceramente mi interessa poco. Ripeto: non sono un suo detrattore, se gira o non gira film mi interessa poco.  
Emily è una giovane moglie depressa che, in cura dallo psichiatra Dr. Banks, uccide suo marito ex galeotto a causa di un effetto collaterale degli psicofarmaci che prende. Ma a questo punto la povera Emily è innocente o colpevole? E' vittima o carnefice?

Effetti Collaterali (titolo originale Side Effects) è film "sufficiente" - con qualche guizzo discreto e altri davvero mediocri - che vorrebbe aspirare ad essere qualcosa di più ma non ci riesce. Un thriller psicologico. Più psicologico che thriller, all'inizio, per poi divenire tutto un altro film verso la metà del minutaggio. Una pellicola dalla doppia anima, quasi un gioco di prestigio che ha la sfortuna di mettere in bella mostra il proprio meccanismo. E sì sa, è il fascino dell'ignoto a rendere affascinante il gioco, è il seme del dubbio che fa funzionare il prestigio. E in Effetti Collaterali abbiamo un bello spiegone finale che ammazza il thrilling, affossa il film e accende alcuni dubbi sul meccanismo stesso, non così ben oleato come pareva sembrare.
Effetti Collaterali (di Steven Soderbergh, 2013)
Due anime, dicevo. Un film che si evolve e cambia. Una prima parte psicologica, lenta, ben costruita e fatta di silenzi e inquadrature fisse. Fa tutto molto Polanski, a dire il vero, con quelle atmosfere rarefatte e l'impressione che le cose possano precipitare all'improvviso. Un vuoto interiore che divora qualunque cosa, in cui si specchiano gli occhioni della povera Emily sull'orlo dell'abisso. Tutto in puro stile Soderbergh che, lo ripeto, da un punto di vista formale è impeccabile e che ci mette la solita critica alle multinazionali (farmaceutiche) promotrici dell'idea che siano i farmaci a curare le persone, e non i medici. 
Poi però succede qualcosa. Il film cambia, dalle atmosfere polanskiane passa a quelle hitchcockiane. Solo che Soderbergh non è Hitchcock. Come non è Polanski, del resto. Sodergbergh è Soderbergh, svolge il proprio compitino e si perde. Non fraintendetemi, la perfezione formale di Side Effects non può essere messa in dubbio. Il problema sta nel fatto che se di solido intrattenimento si dovrebbe trattare, è un intrattenimento che intrattiene giusto il tempo di essere dimenticato pochi minuti dopo i titoli di coda. Viene meno la denuncia, viene meno l'indagine psicologica. Rimane solo un film di genere con troppe cose lasciate al caso, che dice troppo puntando i riflettori su un meccanismo che avrebbe dovuto restare in penombra. 
Se c'è una cosa però che non lascia il minimo dubbio, qui, è Rooney Mara. Chi mi segue lo sa, io la Mara la amo, sono sempre stato un suo sostenitore e qui dimostra di essere un'attrice di riferimento per le nuove generazioni hollywoodiane. E' bella, è brava, è intensa. Arrestate chi l'ha doppiata, ma non permettetevi mai più di chiamarla sciacquetta. Vince lei in questo film, contro un Jude Law all'altezza e una Catherine Zeta-Jones nerd e inguardabile. Channing Tatum resta non classificato, troppo poco sullo schermo per dare un giudizio. E alla fine anche una scena d'amore saffica e senza senso diventa una prova di bravura e lei (Rooney) l'unica cosa da ricordare veramente in un film che verrà presto dimenticato. 
Effetti Collaterali (di Steven Soderbergh, 2013)

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