Il 14 e 15 gennaio, per la seconda volta in poco piú d’un anno e per la terza dal 2011, l’Egitto è tornato a votare per la Costituzione. Schiacciante la vittoria dei «sí», col98,13% dei voti a favore (ma ha votato appena il 38,59% degli elettori). La nuova Carta fondamentale sostituirà quella approvata un anno fa coi Fratelli Musulmani al potere. Col Paese ancora in preda alle convulsioni dell’èra post-Morsi, deposto lo scorso 3 luglio in séguito a un colpo di Stato de facto — anche se quasi nessuno vuole definirlo tale —, la seconda transizione è già entrata in una potenziale fase di chiusura.
Il progetto è opera d’una commissione composta di cinquanta esponenti in rappresentanza di partiti, sindacati, l’Università al-Azhar (con tre membri), le chiese cristiane (tre seggi), polizia e forze armate, con dieci donne e altrettanti giovani. Dopo tre mesi di lavori, il testo è stato licenziato lo scorso dicembre, per esser sottoposto alla volontà popolare pochi giorni fa. Le modifiche rispetto al testo previgente comprendono il ruolo della religione nella legislazione, l’autorità militare del Paese, il sistema di governance, nonché i diritti e le libertà dei cittadini egiziani.
La nuova Carta fondamentale esordisce tracciando i princípi basilari dello Stato: secondo l’articolo 1, «l’Egitto è una Repubblica araba, sovrana, unita e indivisibile, il cui ordinamento politico è basato sulla cittadinanza e lo Stato di diritto». A differenza della Costituzione precedente, questo testo esordisce ponendo enfasi particolare sul carattere unitario dello Stato e sul principio di cittadinanza — nozione sconosciuta rispetto al diritto islamico classico, e assente nel precedente testo. Il richiamo a quest’istituto è sicuramente un progresso rilevante.
Il riferimento alla religione è contenuto negli articoli 2 e 3, rimasti immutati rispetto alla Costituzione precedente, nonché identici all’emendamento del 1980 alla Costituzione del 1971. Per il secondo articolo, «l’islamismo è la religione ufficiale dello Stato, e l’arabo la sua lingua ufficiale»; «i princípi della sharia sono la fonte principale della legislazione». Rispetto al testo precedente, è stato cancellato il legame coll’articolo 219, voluto dagl’islamisti e che serviva a precisare l’interpretazione dell’espressione «princípi della sharia». Tale disposizione, voluta dagli esponenti salafiti, poneva un limite alla parte della legge islamica da cui era possibile attingere come fonte legislativa, creando un intreccio difficilmente prevedibile circa i rapporti tra diritto positivo e diritto islamico e contribuendo cosí ad alterare il sistema delle fonti. Anche il terzo articolo è rimasto invariato, affermando che «lo statuto personale dei cristiani ed ebrei egiziani può essere regolato dalle rispettive leggi religiose». Tale disposto si coordina coll’articolo 64, secondo il quale «la libertà di credo è assoluta, mentre la libertà della pratica religiosa e la creazione di luoghi di culto per le religioni abramitiche è un diritto regolato dalla legge».
Gli articoli 4 e 5 completano il quadro dei princípi basilari dell’ordinamento statale, affermando nel primo che la sovranità appartiene al popolo, «fonte del potere», senza però precisare le forme e i mezzi operativi con cui esercitarla (ad esempio, non è previsto il referendum). L’articolo 5 stabilisce la necessità d’improntare l’architettura dello Stato secondo il bilanciamento e separazione dei poteri, la responsabilità e la tutela dei diritti umani cosí come sanciti dalla Costituzione. Nel testo originario della Commissione, non era fatta menzione dei trattati e delle convenzioni internazionali di cui l’Egitto è firmatario, lasciando intendere che un aspetto delicato come il riconoscimento e la protezione dei diritti e le libertà fondamentali sarebbe stato lasciato esclusivamente alla potestà legislativa — e quindi al potere politico. In séguito, l’applicazione in Egitto delle norme di diritto internazionale in merito ai diritti umani fino a qui ratificate è stata «concessa» per favorire la campagna per il «sí» al referendum, ed è stato il solo passo avanti che la base ha ottenuto in materia di diritti umani.
Analogo discorso vale per l’articolo 6, che definisce l’istituto della cittadinanza (espresso nell’articolo 1) come il diritto di chiunque sia nato da padre o madre egiziani. Il secondo comma precisa ch’essa è «un diritto garantito solo se è ufficialmente riconosciuta dallo Stato e in presenza di documenti che attestano l’identità del soggetto portatore», e che «le condizioni d’ottenimento della cittadinanza sono stabilite dalla legge». L’ambiguità di quest’ultima previsione produce una nozione di cittadinanza piuttosto contraddittoria. Da un lato, essa è la condizione di base, neutra e oggettiva, cui collegare diritti, libertà e doveri; dall’altro, però, è la legge, e dunque il potere politico, a stabilire chi sia titolare della cittadinanza e chi invece ne sia escluso, rendendola cosí un istituto a uso e consumo della maggioranza di turno.
L’articolo 7 dice che «al-Azhar è l’autorità principale in scienze religiose e degli affari islamici». Il ruolo e lo statuto dell’Università islamica d’al-Azhar è quello d’istituzione indipendente e scientifica (formalmente) svincolata dalla politica. Rispetto all’articolo 4 del vecchio testo costituzionale, che conteneva simili previsioni, è venuto meno l’obbligo di consultare gli esperti (kibār al-‘ulamā’) nelle questioni del diritto islamico e del suo intreccio col diritto positivo. Se da un lato ciò ridimensiona i compiti d’al-Azhar, sottraendole lo statusd’organo paragiurisdizionale per relegarla al semplice ruolo d’organo consultivo, dall’altro la nuova previsione ha inteso porla fuori dall’agone politico, rafforzandone il carattere d’indipendenza.
L’articolo 8 contiene il riferimento alla giustizia sociale, assicurandone la «promozione attraverso lo Stato nei limiti della legge». Il principio socio-assistenzialista era stato inserito dai Fratelli Musulmani, che potevano avvalersi d’una fitta rete d’enti e istituzioni a carattere sociale — come scuole, mense, ospedali — gestiti dall’organizzazione. La recente dichiarazione dei Fratelli come «rete terroristica» ha comportato la chiusura di tutte le attività economiche, commerciali e assistenziali legate, anche indirettamente, al mondo dei Fratelli — ribadendo quanto sia pregnante la portata dei «limiti della legge».
L’articolo 10 afferma l’importanza della famiglia, intesa nella sua forma tradizionale come la «base della società»; essa «deve ispirarsi, nell’ordine, alla religione, alla morale e al patriottismo». Questo costante riferimento alla concezione «tradizionale» della famiglia è visto da alcuni osservatori come un possibile ostacolo all’evoluzione sociale e legale dei costumi.
Controverso è anche l’articolo 11, dedicato alla condizione della donna, di cui è ribadita la duplice funzione di madre-moglie e d’individuo in società. Benché la previsione in esame, di carattere programmatico, ponga a carico dello Stato il compito di «favorire la realizzazione dell’uguaglianza tra uomo e donna nei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali», la parità tra generi non è formalizzata in modo assoluto, e sembra replicare l’ideale islamico della differenza naturale tra uomo e donna, cui spettano funzioni sociali diverse.
I diritti dei lavoratori sono menzionati agli articoli 12–14. Il diritto allo sciopero (articolo 15) non è formulato in modo assoluto, e la sua disciplina è demandata alla legge ordinaria, che potrebbe esser modificata dagli organi esecutivi oppure derogata dalla legge d’emergenza.
Facendo un salto, arriviamo all’articolo 51. Da qui, esauriti i princípi fondamentali dello Stato, la Costituzione sancisce l’elencazione dei diritti e delle libertà fondamentali, i quali si ricollegano direttamente alla nozione di cittadinanza vista nell’articolo 6. L’articolo 51sancisce la dignità umana (al-karama) come un diritto della persona, non soltanto del cittadino, lasciando spazio alla possibilità d’estendere le relative protezioni anche agli stranieri. Le norme successive sono di nuova formulazione. L’articolo 52 esclude ogni forma di tortura, considerata un crimine. L’articolo 53 stabilisce il principio d’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge «nei diritti, libertà e doveri pubblici, senza discriminazione sulla base della religione, convinzioni personali, genere, origine, razza, colore, lingua, disabilità, statussociale, appartenenza politica, posizione geografica o qualsiasi altro motivo». L’articolo 55prevede il diritto al giusto processo, replicando anche il divieto di tortura per i detenuti.
Gli articoli dal 54 al 65 stabiliscono, nell’ordine, l’inviolabilità della libertà personale, della vita privata, del domicilio, della corrispondenza, di movimento, di credo, sempre tuttavia nei limiti della legge. Carattere comune a tutte queste previsioni è, dunque, l’ambiguità. La Costituzione, da un lato, protegge la libertà in generale, ma dall’altro ammette che questa possa subire restrizioni in casi particolari, assegnando alla legge ordinaria il potere di definire quali.
I diritti politici sono compresi negli articoli dal 74 al 77, dai quali emerge la chiara volontà dei militari d’inibire ogni margine d’azione ai Fratelli Musulmani. L’articolo 74, ad esempio, vieta i partiti ostili alla democrazia, a carattere militare e «quasi militare», ma anche quelli che svolgono attività politica sulla base della religione. Questa disposizione era contenuta nella legge elettorale di Mubarak ma non nella Costituzione del 1980, fu ripresa dalla Dichiarazione Costituzionale dello SCAF del marzo 2011, fu stralciata dalla Costituzione dello scorso anno e, infine, è stata riproposta in questa sede. Le stesse regole valgono per le associazioni (articolo 75).
Ma gli articoli piú controversi sono quelli che riguardano l’estensione dei poteri dell’esercito. La previsione di processi militari contro i civili è rimasta, ponendo una pericolosa deroga alle garanzie processuali sancite dall’articolo 55, e addirittura peggiorando i contenuti del testo costituzionale del 1954. Tale previsione va poi messa in relazione con la recente legge antiproteste, che impedisce l’organizzazione di manifestazioni in assenza d’un’approvazione del ministero dell’Interno. Ma la norma piú critica è quella contenuta nel 234, che stabilisce la nomina del ministro della Difesa per i prossimi due mandati (dunque per otto anni) da parte del Consiglio Supremo delle forze armate. Silenzio, invece, in merito all’approvazione del bilancio militare, svincolato da ogni forma di controllo esterno.
In conclusione, che cosa cambia rispetto alla Costituzione redatta appena un anno prima?Ben poco. Il testo della nuova Costituzione conserva molti aspetti della Carta precedente, che ne è praticamente la base di partenza. Se è lecito affermare che la nuova Costituzione riduce — senz’azzerarla — l’influenza dell’islamismo sulla vita pubblica, non è certo possibile affermare che la carta in oggetto sia «laica», come viene fatto da alcuni media. È innegabile che alcuni importanti cambiamenti siano stati operati, e che il nuovo testo contenga qualch’enunciato in piú in tema di diritti umani; ma il costante rinvio ai «limiti della legge» getta un’ombra sulla reale portata libertaria del testo.
Non possiamo stupirci. La lingua araba è un idioma che si presta al linguaggio indiretto, astratto, adulatorio, e in ogni caso piú alla dimensione orale che a quella scritta. Essa non è pratica né concisa, come invece le formulazioni giuridiche dovrebbero essere, lasciando spazio a pericolosi arbitrî. Già altre volte il linguaggio vago e ambiguo delle Costituzioni arabe ha permesso ai regimi di mantenere il potere giustificando ogn’azione violenta o restrittiva orientata a tal fine. La legge è talvolta vista come strumento per colpire e reprimere, piuttosto che per mettere ordine. Non a caso un proverbio arabo recita: «Agli amici i favori, ai nemici la legge». E, nell’Egitto del dopo Morsi, il nemico sono i Fratelli Musulmani.
L’aver salvaguardato il testo precedente, emendato solo in alcuni specifici punti (si veda in particolare la parte sui diritti politici), sembra svelare il vero obiettivo di questa riforma costituzionale: «de-islamizzare» la precedente Costituzione di Morsi, depotenziando il ruolo non della religione, bensí dell’Islam politico. Ciò è confermato proprio dall’assenza, tra i costituenti, degli esponenti dei Fratelli, movimento ormai estromesso dalla scena politica del Paese non solo dichiarandolo fuorilegge (in quanto «organizzazione terroristica»), ma anche smantellando l’architettura e il bilanciamento di poteri ch’esso stava cercando di mettere in piedi.