26 novembre 2014 Lascia un commento
La straordinarieta’ dell’evento non e’ soltanto legata alla fama e al successo planetario di quest’opera, quanto per l’importanza che ha rivestito nel definire un nuovo tipo di teatro e portare all’attenzione del grande pubblico Philip Glass e il minimalismo che rappresenta.
Diciamo subito che la caratteristica piu’ evidente, per quanto sia la piu’ irrilevante, e’ la durata che sfiora le 5 ore. Non e’ poco, lo stesso Glass ha dichiarato di non aver mai assistito ad una sua rappresentazione senza concedersi delle pause e comunque e’ previsto che bon-ton richiesto a teatro, venga in questa occasione scavalcato, problema che comunque non si pone allo spettatore telematico che anzi ha il vantaggio di gestire il tempo a suo piacimento. Sia chiaro pero’ che una durata di questo genere non e’ certo un vezzo.
Sappiamo che le musiche di Glass e il minimalismo in genere, necessitano di un ampissimo respiro per essere compresi, meglio dire introiettati nell’ascoltatore che solo attraverso l’assimilazione delle dinamiche tonali e ritmiche prolungate e continuate, riesce ad entrare nel mantra del suono, ma non e’ solo questo.
Sia Glass che Wilson, ricordiamo il coautore di “Einstein on the beach”, di Glass le musiche e suo tutto il resto, provengono dalle esperienze performative del Living Theater, dagli happening, manifestazioni non convenzionali anche nella gestione del tempo che perde la sua valenza costante variando o dilatandosi al volgere della situazione.
In base a cio’ per esigenza, per stile e Zeitgeist, l’opera doveva necessariamente espandersi lungamente in durata, anche perche’ il racconto diviso in nove capitoli e cinque raccordi, lo esige.
Parliamone se si vuole ma “Einstein on the beach” va visto e vissuto, sentito, ragionato e cavalcato come un destriero che sa anche essere bizzoso.
Per cio’ che concerne la mia esperienza, conoscevo l’opera s’intende e piuttosto bene considerando la passione che ho per Glass e aggiungo che mai ho avuto interesse nell’andare oltre le musiche ma quando ho scovato il video, compreso si trattasse della versione integrale, ho iniziato a vederlo con l’incapacita’ fisica e mentale di staccarmi da esso malgrado le difficolta’ oggettive del seguirlo dall’inizio alla fine. Ebbene con tutti gli ascolti, col libretto sottomano e l’attenta analisi prestata, non si puo’ comprendere la portata dell’opera senza inclidere l’esperienza visiva che non solo introduce un ulteriore elemento alla sua complessita’ ma ne amplifica la portata, stravolgendo completamente ogni valenza che la sola musica attribuiva. Gli autori affermano di non aver previsto un significato univoco, non un senso compiuto marmorizzato nel racconto, con l’intenzione di lasciare aperta ogni possibile chiave di lettura. Onestamente non ho idea se esiste una linea di pensiero o una sinossi ufficiale, per cio’ che mi riguarda si tratta della piu’ fenomenale rappresentazione delle leggi fisiche che governano l’universo che sia mai stata scritta e creata. Lo spazio, il tempo, la materia e l’energia sono li’ davanti e noi e le regole che li amministrano e persino cio’ che chiamiamo caos o caso, le leggi che non conosciamo, danzano attorno alla formulazione metafisica non del cosmo ma della sua struttura.
Formidabile, formidabile e shockante, sbagliando nel credere che la musica bastasse per tutto.
Opera che si puo’ amare oppure odiare e che permette anche l’indifferenza ma serve affrontarla.