Di Ciuenlai
L’Umbria è riuscita in un’impresa considerata da molti costituzionalisti “mission impossible” : approvare una legge elettorale peggiore del tanto criticato Italicum. Parliamo comunque di proposte simili, che ricalcano l’ impianto della famosa “Acerbo” del 1924. Si tratta infatti, in entrambi i casi, di leggi proporzionali “corrette” da un forte premio di maggioranza.
Con alcune differenze, tutte a favore della Acerbo dal punto di vista democratico. “L’uomo del Duce” aveva introdotto una soglia minima da raggiungere per aver diritto al premio di maggioranza e non prevedeva nessun sbarramento. Se c’è un premio di “governabilità”, chi ha vinto ha la maggioranza assoluta ed è logico che ciò che rimane , per rispettare a pieno il diritto di rappresentanza, venga suddiviso proporzionalmente tra i perdenti. Qui, nel cuore verde d’Italia, non è stata codificata nessuna di queste varianti. Qualcuno ha detto che potrebbe succedere che con il 25% “si porta a casa tutto il malloppo”. Ma potrebbe bastare anche meno. Faccio due simulazioni “fantapolitiche”, ma possibili dal punto di vista matematico, per rendere l’idea del “mostro” che si è approvato. 10 candidati al via, 8 prendono il 10%, uno prende il 9% e quello che ha ottenuto l’11% elegge 12 consiglieri su 20. Se i candidati fossero 20 potrebbe addirittura bastare il 6%. Dice “è incostituzionale”. A leggere la sentenza della Corte che ha bocciato il “Porcellum” parrebbe di si. Lo dirà il Tar se qualcuno, come sembra, deciderà di presentare ricorso. Ma al di là delle dispute giudiziarie quello che emerge con forza a Perugia, come a Roma è questa pratica, tutta antidemocratica, di modellare le leggi elettorali ad uso e consumo di chi sta al potere. Sono le leggi “del partito unico”, di quelle “larghe intese perenni”, che ormai dominano la scena politica. Leggi che alimentano la sfiducia in mezzo alla gente, ingrossando, botta per botta, il fenomeno dell’astensionismo. Alla fine , a votare ci andranno solo gli “addetti ai lavori” e gli “interessati”. E la cosa non dispiace a chi comanda.