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Oltre a essere un test fondamentale per potere aspirare a diventare ufficialmente un paese candidato ad entrare nell’Unione Europea, le elezioni amministrative rappresentano un crocevia fondamentale per la politica e per la direzione che prenderà il paese, e soprattutto per cercare di smuovere l’immobilità politica che regna ormai da due anni, che di fatto impedisce che ci siano le riforme strutturali di cui tanto necessiterebbe il paese.
La comunità internazionale ha chiesto al governo in maniera chiara di assicurare elezioni libere e regolari, conditio sine qua non, questa, per potere aspirare a entrare nell’UE, e con molta attenzione guarda a queste elezioni amministrative e al loro esito. Come sempre in questi casi è stata forte la presenza di osservatori internazionali. Le operazioni di voto si sono svolte regolarmente con una partecipazione piuttosto alta rispetto agli standard: 50,9% in scala nazionale con picchi anche dell’80% in alcune città, cifra che diventa ancora più significativa se si pensa che più del 30% degli aventi diritto sono emigrati e residenti all’estero. Gli osservatori internazionali si sono prodigati in complimenti nei confronti del popolo albanese. Il primo rapporto dell’Ocse parla di elezioni trasparenti e competitive anche se lamenta un’eccessiva polarizzazione dello scontro politico e la scarsa fiducia dei partiti.
Mentre, dunque, le operazioni di voto non hanno evidenziato particolari problemi tutt’altro discorso si deve fare per le operazioni di conteggio. Basti pensare che ancora non si sono concluse del tutto, ed è già passata una settimana. Questo ritardo non è certo dovuto a un’arretratezza tecnologica, (a tale proposito bisogna dire che notevoli sono stati i passi in avanti anche in questa direzione rispetto alle precedenti elezioni e notevole è stata anche la spesa pubblica) ma a un atteggiamento ostile e poco maturo politicamente della classe dirigente. Continue le interruzioni, continue le contestazioni, i momenti di tensione, i litigi, i tafferugli tra i rappresentati delle due coalizioni nei seggi, soprattutto in quelli della capitale.
Mentre, infatti, nelle altre città già due giorni dopo il voto era più che chiaro l’esito ufficiale delle elezioni, almeno per i candidati sindaci, per Tirana ci sono voluti sei giorni per scoprire chi l’avrebbe governata e tuttora siamo in attesa della comunicazione ufficiale del Comitato Centrale dell’Elezioni. Sei giorni estenuanti di attesa, angoscia e forti tensioni. Sei giorni in cui il paese si è fermato aspettando i risultati definitivi, consapevole della loro importanza.
Fondamentale è stato per la risoluzione pacata di questa situazione di tensione l’intervento degli ambasciatori internazionali, in particolare l’ambasciatore Usa, che si è impegnato non solo nel parlare e richiamare i due candidati alla calma e alla responsabilità, ma presentandosi lui stesso, seguito poi da altri colleghi, nei centri di conteggio problematici a osservare l’andamento dei lavori, offrendo così una garanzia ulteriore al regolare svolgimento delle operazioni.
La battaglia a Tirana è stata asprissima e combattuta fino all’ultimo voto, a contendersi la città il sindaco uscente socialista, nonché chairman dell’omonimo partito, Edi Rama e il candidato democratico Lulzim Basha, classe 1974, dimessosi dalla carica di ministro degli Interni e da parlamentare per concorrere per la guida di Tirana.
Ha vinto per soli dieci voti Edi Rama, a cui i cittadini di Tirana hanno affidato il suo quarto mandato. E’ una novità, Rama è abituato a distacchi dell’ordine di decine di migliaia di voti. Questo esito è certamente dovuto alla brillante campagna elettorale del suo giovane sfidante, astro ormai maturo del Partito Democratico e della politica albanese, a una certa stanchezza e disaffezione da parte degli elettori nei confronti di Rama come del resto è normale che sia dopo più di dieci anni di amministrazione, ma soprattutto al fatto che la campagna elettorale di Rama ha messo al centro più che Tirana e i suoi cittadini l’Albania e il suo futuro. Non a caso, infatti, la coalizione di sinistra porta il nome di Alleanza per il futuro, ed è un caso di nomen omen: è sul futuro, sull’alternativa a Berisha, che si è basata la campagna elettorale di Rama. Egli ha chiesto infatti a suoi concittadini un voto politico più che amministrativo in vista delle elezioni del 2013, ha trasformato le elezioni amministrative in un referendum contro il presidente del consiglio Berisha, sapendo che questa sarebbe stata una scelta rischiosa (non è certo nuovo a scelte rischiose) e a giudicare dai risultati non è stata una scelta completamente vincente, almeno non per Tirana.
Nel resto dell’Albania, invece, questa strategia sembra avere pagato. Il partito socialista con l’Alleanza per il futuro si riconferma in alcune città fondamentali e ne conquista altre, riesce addirittura a fare sue storiche roccaforti democratiche del nord Albania, zona tradizionalmente blu. I dati in realtà sono molto contradditori, come spesso accade qui. Mentre il Partito Socialista si riconferma maggiore partito del paese, è la coalizione di centro destra, l’Alleanza per il cittadino, ad avere il numero maggiore di voti. L’Alleanza per il futuro vince nelle città, e amministrerà circa due 2.5 milioni di albanesi, lasciando agli avversari solo 650 mila, ma il conto dei comuni, e si intende qui i piccoli paesini di campagna, va a favore dell’Alleanza per il cittadino.
Come da copione le due parti si dicono entrambe vincenti. Il premier Berisha, forte di 72 mila voti circa di vantaggio per la sua coalizione interpreta il voto come a suo favore, mentre il capo dell’opposizione Rama elenca le città, tante, che verranno amministrate dal suo partito.
Nel complesso però non si può non dire che l’Albania si colora di rosa perché rosa sono tutte le città più importanti. La sensazione che si ha è che queste elezioni non daranno alla politica la scossa che si sperava. Il paese è abbastanza spaccato tra nord e sud, campagna e città, destra e sinistra e questo elezioni non hanno fatto altro che marcarlo ancora di più, in un momento in cui, forse, ci sarebbe bisogno di tanta unità.
Quello che emerge chiaramente dall’alta partecipazione al voto è che c’è un popolo e un paese in rapida crescita, c’è un popolo che vuole andare avanti, un popolo che anela al futuro e all’Europa. Ma ad emerge altrettanto chiaramente è anche un terribile dubbio: sarà in grado questa classe dirigente di fare da timoniere?
Fatjona Lamce via Lafayette70
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