Trionfo annunciato in Serbia dei conservatori filo europeisti del Partito del progresso serbo (Sns) guidato da Aleksandar Vucic che, stando ai primi dati preliminari, nelle legislative anticipate di oggi ha conquistato quasi il 50% delle preferenze, il miglior risultato mai ottenuto da una forza politica nei 25 anni di multipartitismo nel paese, neanche da Slobodan Milosevic.
Il neo premier serbo, Aleksandar Vucic (hspf.info)
Secondo gli ultimi dati diffusi dal Centro per le elezioni libere e la democrazia, l’Sns ha ottenuto il 48,8% delle preferenze, lontanissimo dal 14% andato al Partito socialista (Sps), arrivato secondo. Solo altri due partiti avrebbero superato lo sbarramento del 5%, il Partito democratico (Ds) col 5,9% e il Nuovo partito democratico al 5,7%. L’affluenza è risultata del 53,2%, in calo rispetto al 57,7 del 2012.
Un Vucic raggiante ma anche emozionato ha ringraziato in serata i suoi sostenitori, promettendo di contonuare sulla strada delle riforme e dell’integrazione europea. Ha quindi citato Alcide De Gasperi affermando di voler lavorare “per le future generazioni, non per le prossime elezioni”. L’obiettivo dichiarato di Vucic, che ha voluto in prima persona il voto anticipato, era di capitalizzare al massimo i successi fatti registrare negli ultimi 18 mesi dal governo di coalizione con i socialisti. In primo luogo l’avvio il 21 gennaio scorso del negoziato di adesione della Serbia alla Ue, i notevoli progressi nel dialogo con Pristina sulla crisi del Kosovo e i primi risultati concreti nella lotta alla corruzione, uno dei punti cardini in chiave integrazione Ue sui quali sono puntati gli occhi di Bruxelles. E alla corruzione si è riferito, votando ieri mattina, lo stesso leader conservatore, giovane e potente astro della politica serba, convertitosi negli ultimi anni da posizioni estremiste e ultranazionaliste a una politica conservatrice moderata e apertamente filoeuropeista.
“Mi aspetto che la Serbia, dopo l’appuntamento elettorale, continui innanzitutto nella lotta inflessibile contro la corruzione, e nel far progredire l’economia creando nuovi posti di lavoro”, ha detto Vucic al seggio, sottolineando come siano necessarie per questo “riforme strutturali ampie e dolorose entro la pausa estiva”.
Parole che nascondono la preoccupazione per la situazione economica e finanziaria della Serbia non certo brillante. Una disoccupazione oltre il 20%, un debito pubblico superiore al 60% del pil e un deficit di bilancio che si mantiene da alcuni anni al di sopra del 7% non sono numeri rassicuranti, e impongono interventi rapidi e dolorosi. Ma nonostante le ombre della crisi economica, l’immagine della Serbia andata oggi al voto è senza dubbio migliore di quella a cui era abituata la comunità internazionale per via del ruolo di Belgrado nei conflitti sanguinosi nella ex Jugoslavia.
A questo ha contribuito il progressivo avvicinamento alla Ue e il chiaro desiderio della dirigenza serba – a cominciare dal premier socialista Ivica Dacic e dal suo vice Aleksandar Vucic – di normalizzare i rapporti col Kosovo, pur mantenendo il no al riconoscimento dell’indipendenza. Temi ai quali si è riferito il presidente conservatore Tomislav Nikolic che, parlando al seggio elettorale, si è detto convinto che il nuovo governo proseguirà più velocemente sulla strada dell’integrazione europea, e cercherà di risolvere definitivamente l’intricata questione del Kosovo.