Il 6 ottobre 1979 Elizabeth Bishop muore. Era nata nel 1911 a Worcester in Massachusetts. Prestissimo orfana di padre, allontanata quasi subito dalla madre sofferente di disturbi psichici, la vita, Elizabeth Bishop cui non mancarono mai riconoscimenti del suo valore poetico, la trascorse senza stabilirsi per un periodo lungo in alcun luogo, salvo che in Brasile, per quasi venti anni a partire dal 1951 al fianco di Lota de Macedo Soares. Ottavio Fatica in una nota critica parla della cifra di questa poetessa come una sorta di nevrosi costitutiva data dal dato biografico relativo dell’abbandono precoce. Nel caso delle nevrosi il rapporto con la realtà risulta essere disturbato, difficile da gestire ma c’è ed esiste e ciò costituisce spesso la cifra di tanta poesia dagli esiti superbi. Il senso di appartenenza e inappartenenza in Bishop si gioca attraverso la descrizione minuziosa di luoghi e paesaggi che quasi sempre si risolvono sul finale di ogni poesia come coordinate di un ordine trascendente ma visibile, in cui la poetessa identifica soprattutto la sua assenza. I molti paesaggi coincidono nell’ordinamento unico di un luogo originario inesistente che Bishop conserva come un bisogno primario raggelato. Mi viene in mente Mark Strand, che i genitori ce li aveva ma in uno dei pochi scritti in cui parla di se stesso in modo diretto (L’alfabeto di un poeta, mi pare) racconta di avere trascorso un’infanzia nomade per via del lavoro di suo padre e dichiara di essere stato salvato da un luogo in cui ogni estate la sua famiglia ritornava nonostante i continui traslochi. Un luogo che poi ha costituito uno sfondo capace di una tenuta tale da erigersi come un certo di tipo di appartenenza saltuaria e possibile, della sua persona a questo mondo. Secondo me il senso di questo stesso genere di appartenenza è ciò che ha ricercato Elizabeth in una poesia che in questo modo diviene cifra di una frustrazione gestita a tali livelli di grazia da lasciare spesso senza parole. Una leggenda o forse no, diciamo un aneddoto tra i più noti che riguarda Elizabeth Bishop la lega a Marianne Moore, un poetessa maggiore della Bishop di anni, esperienza, non saprei se di genio, e al legame d’amicizia tra le due che fu solido, vero e duraturo. Una volta che Elizabeth mandò a Marianne una sua poesia prima della pubblicazione, l’amica la corresse così pesantemente che ciò consentì alla Bishop di pubblicare tranquillamente la sua prima versione e di non dare in lettura mai più a Marianne le sue bozze, convinta una volta per tutte, come ogni nevrotico che si rispetti, di saperne molto di più, non tanto riguardo la poesia in senso lato ma riguardo, giustamente io credo, alla propria personale nevrosi.
Sarà Elizabeth Bishop la poetessa con cui riprenderanno le riunioni del circolo dei lettori di poesia lunedì 6 ottobre alle 18,00. Centro Libellula, via san Michele, 8, 00067 Morlupo RM info [email protected]