Vittorio Sgarbi passerà alla storia e questo è indubbio. Il ”capra-capra-capra” scorre nel linguaggio comune di tutti i giorni, cristallizzato nella memoria di tutti noi indelebilmente, volenti o nolenti. Non si fa mancare un’ occasione il Vate dell’ insulto e così, da copione, a “Radio Belva” (trasmissione di RETE 4 nata e, quasi simultaneamente, morta il primo giorno di messa in onda) ha arricchito la già ingente eredità a noi destinata con ulteriori chicche, tra cui impossibile non citare “ti piscio in testa”. Eh sì, mi ha fatto ridere; ho riso quando insultava i conduttori e il programma, ho riso nel rileggere le sue frasi retweettate, ho riso, come sempre, nei video-collage delle sue nevrosi verbali su youtube. Non ho riso quando lui, con tutto il programma di cui è stato ospite, è stato esaltato come politicamente scorretto. Non mi spiego il perché, ma quello che in qualsiasi conversazione formale si definisce ”turpiloquio” in televisione si trasforma in un audace, provocatorio dialogo politicamente scorretto.
Il politicamente corretto è una piaga della società: nasconde le diversità, soffoca il dubbio, uccide l’indagine. Bisognerebbe prendere le distanze da chiunque si indigni per una parolaccia, dai fautori del progressismo sociale tramite il “diversamente” anteposto ad ogni parola ( diversamente vedente, diversamente abile, diversamente sessuale), da tutti quei politicamente corretti convinti di sconfiggere la discriminazione e le ingiustizie con un’ egalitè lessicale, dai violentatori della lingua italiana in nome di un melting pot in cui neanche credono. Trovo ridicole le lotte per l’accettazione del diverso imbracciando i forconi dell’ uguaglianza formale, provo fastidio per i paternalistici dalla commiserazione sempre pronta, per i buoni della domenica.
Detto questo, non tutto ciò che è diverso da quanto sopra descritto è politicamente scorretto. C’è una terra di mezzo tra i due estremi che credo stia diventando patria del più recente conformismo: dire necessariamente qualcosa di sconveniente, condire le frasi con qualche insulto, lanciare qualche offesa fine a se stessa, tutti requisiti per dire qualsiasi cazzata ma col patentino dell’intellettuale indipendente e coraggioso. Manciate di becerismo da quattro soldi, che tuttalpiù possono far fare quattro risate, diventano simboli di un pensiero controcorrente, di riflessioni audaci contro l’opinione comune.
No, il politicamente scorretto è arte, ed è un’arte difficile. E’ la provocazione non fine a se stessa ma che conduce alla riflessione su ciò che per noi è dogma, è la frase fastidiosa che si insinua nei nostri pensieri, ci turba e allo stesso tempo ci attrae, se fa ridere non sfocia mai nell’umiliazione pubblica. Il politicamente scorretto svela con lucidità i perbenismi quotidiani di cui siamo assuefatti, mette a nudo le ipocrisie delle nostre coscienze.
Il provocatore, quello vero, non è la becera cassa di risonanza del mal di stomaco sociale, ma è colui che depone tra le nostre idee il malefico tarlo del dubbio.