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Emanuele Severino: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in paesi come l’Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa, non solo per l’Italia

Creato il 09 giugno 2014 da Paolo Ferrario @PFerrario

«Io mi auguro che questa operazione riesca, ma è difficile, è molto difficile…». La voce di Emanuele Severino, classe 1929, uno dei maggiori filosofi viventi, arriva limpida e serena. Tersa come l’augurium disincantato attraverso il quale gli dèi comunicano il loro favore ad una decisione o a un’impresa degli uomini.

Politica e affari, corruzione: l’esplosione a catena degli scandali degli ultimi mesi è soltanto  una replica del vecchio copione di Tangentopoli oppure è il segnale che una diga di «complicità politico-generazionale» – come scrive la Stampa – e quel sistema di scambi ad alta e bassa intensità che opera all’interno di una “casta diffusa” stanno franando? L’Italia sta finalmente uscendo dall’equivoco ventennale di una Seconda repubblica mai veramente nata?

A dicembre, in una bella intervista a Silvia Truzzi per il Fatto, Severino parlava così del «grande turbine che si porta via tutte le forme di tradizione»: «La trasformazione epocale non è indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in paesi come l’Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa, non solo per l’Italia».

Sei mesi dopo, nella bufera del Mose che scoperchia altre cupole di potere corrotto – dopo la cricca del terremoto dell’Aquila, lo scandalo Monte dei Paschi, l’affaire Carige, le mani sporche su Expo 2015 – il filosofo torna a parlare di quell’abbandono della tradizione che ha «da noi un maggiore effetto traumatico rispetto ad altri paesi. E che, ritornando al tema della mancanza di senso dello stato, porta con sé individualismo esasperato e corruzione».

Nel muro di impenetrabilità che finora aveva resistito all’intervento della magistratura si aprono varchi «forse proprio perché è cominciato un rinnovamento di ceto politico, sia a sinistra sia a destra, che fa venir meno le garanzie di protezione da parte della tradizionale classe politica», è la tesi di Luigi La Spina sulla Stampa.

«E’ senz’altro vero e possibile che sia in atto questo tentativo da parte della politica», riflette Severino. «Il mio augurio è che riesca, ma l’operazione è difficile perché la lotta alla corruzione prevede lo smantellamento di privilegi che costituiscono una vasta area di elettorato che non è una minoranza e che trova tutela di forze politiche e dentro le forze politiche interessate a proteggerla…». Anche il filosofo, per ora, si arresta ad osservare.

Una «rete di relazioni fondate su una lunga consuetudine di amicizie», mai veramente scalfita nella cosiddetta Seconda repubblica, sta crollando? Il «cambio di stagione ormai avvertito come inevitabile e imminente» ha scatenato un «si salvi chi può»? Cala il sipario su quelli che, come scrive la Spina, «anche dopo periodiche sconfitte elettorali non escono mai dalla scena pubblica»? Solo il tempo può dirlo.

Massimo Giannini, su Repubblica, rimprovera al governo che «finora nulla è cambiato, nei codici e nelle norme di contrasto». Renzi dice che sì, le norme cambieranno, ma non sono le norme il punto: semmai è che chi è condannato «non torni poi a occuparsi di cosa pubblica». Insieme all’arma del rinnovamento di classi dirigenti, anche il “Daspo” per corrotti e corruttori entra tra le munizioni da arsenale.

Forse anche perché «l’umanità è molto vecchia, l’eredità, gli incroci hanno dato una forza insuperabile alle cattive abitudini, ai riflessi viziosi”, proprio come ammonisce Proust neLa prigioniera,citato sei mesi fa nell’intervista alFattodi Emanuele Severino.

daSe il nuovo ceto politico fa crollare il malaffare. Lo sguardo del filosofo Severino | Europa Quotidiano.


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