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Emilia, terra di occupazione

Creato il 04 luglio 2012 da Albertocapece

Emilia, terra di occupazioneAnna Lombroso per il Simplicissimus

Allora immaginate una famiglia investita dall’apocalisse, che non ha più casa e quel che ne rimane è impenetrabile anche perché l’apocalisse in modo più o meno violento si ripete come una rappresentazione seriale di un colossal sulla terra scossa da forze profonde.
Vive in un camper. O in una tenda.
Fa molto caldo, dentro un camper. E fa caldo anche nelle grandi tende dove sono allestite le mense, o qualche dormitorio.

Immaginate di aver mandato sms, ed anche di pagare direttamente un prezzo per via dell’apocalisse svoltasi là un po’ lontano da voi. Immaginate di aver mandato viveri e vestiario e medicine. Immaginate però che i quattrini che avete mandato direttamente siano intercettati per trasformarsi in arbitrari strumenti “creditizi”, che i viveri probabilmente vadano a male perché malgrado qualche visita pastorale, molta sobria solidarietà verbale e una tecnica delle annunciazioni succede che ci sia una certa inefficienza, molta rigidità burocratica, scarsa accoglienza del contributo dei volontari, una inclinazione a guardare alle vittime come a fastidiosi postulanti da mettere in riga.
Succede così che magari una lagnanza per l’erogazione “discrezionale” e piuttosto esosa dei viveri venga “sedato” grazie a qualche deterrente intimidatorio, che le legittime lagnanze vengano zittite, che le denunce pubbliche siano trattate da esagerazioni, che, insomma, non ci resti che aspettare che la Guzzanti si converta al sequel.

Non pensate che finchè la profezia del Maya non si avveri, finchè un terremoto non smuova qualcosa di più delle vulnerabili fondamenta dell’appartamento sismico del ministro Patroni Griffi, fino a allora a voi non possa succedere.
Perché la tentazione di trasformare la gestione delle emergenze in operazione militare, di istituzionalizzare il malessere o la disperazione mediante un controllo repressivo o il respingimento implacabile, di trasformare l’urbanistica in una scienza al servizio dell’ordine pubblico con confini, zone soggette a interdizione, aree circoscritte e esclusive, quella tentazione c’è già e ci sarà sempre di più.

Perché se per migliaia di anni le città si sono dimostrate un contesto efficace per uscire dalla povertà, oggi che si è allargato il divario fra ricchi e poveri, che la nuova ricchezza è distribuita in modo sempre più disuguale, che di fianco alle baraccopoli senza acqua potabile convivono le gated communities dei ricchi, che un terzo dei cittadini globali vive nello slum e aumenta la popolazione, ma le risorse diventano più scarse, si, oggi le tremende differenze accendono i conflitti, nutrono di veleni e diffidenza le relazioni umane, ingenerano autoritarismo e repressione anche quella burocratica e amministrativa con sconcertanti commi 22. Quelli che il trionfalismo compassionevole dei telegiornali omette e dai quali i dicasteri della Faccia Tosta distolgono lo sguardo, che tanto si servono dei diseredati come scudi umani per esigere ancora sacrifici.

Così se sei un terremotato che ha piantato una tenda da campeggio davanti alla sua casa lesionata per controllarla e stare vicino alle sue cose e alle sue memorie in attesa che le scosse finiscano, beh non sei uno sfollato, non hai diritto a un certo regime di assistenza e la Protezione civile non è obbligata a darti aiuto se non benevolo e marginale.
È che è più facile controllare gente spossessata, avvilita e sradicata, mantenere l’ordine tra chi ha perso tutto anche la forza di decidere in suo nome, trasformare chi è senza casa in un “degente” ospedalizzato nelle tende come se la disperazione fosse una malattia vergognosa da tenere si ai margini, ma da lasciar lievitare che così poi troveranno accettabili le new town di casette a schiera, la cancellazione del patrimonio artistico e di memorie, ridotto a un optional che non possiamo permetterci, i capannoni insicuri, i ricatti e i taglieggiamenti, quelli smart, immateriali e rapaci delle banche e dei padroni, e la condanna ad uno spazio senza identità, un ‘non luogo’ senza storia, nè ricordi, né bellezza.
Il modello – negativo – aquilano che ha già provocato il degrado, forse irreversibile, di uno dei più importanti centri storici italiani continua ad essere adottato. La mancanza di un programma di manutenzione dei centri abitati è diventato il fattore moltiplicatore che ha ingigantito l’effetto distruttivo del terremoto.

Con una singolare anche se casuale tempestività il Consiglio dei ministri, approvando il decreto legge (n. 59 del 15 maggio) che riordina e potenzia il servizio nazionale di protezione civile, ha fatto del sisma in Emilia il banco di prova del governo autoritario delle emergenze: il potere di ordinanza “in deroga ad ogni disposizione vigente”, riserva fino ad ora della responsabilità politica al più alto livello – il presidente del consiglio -, è conferito al capo del dipartimento della protezione civile.
E appunto, deliberato dal governo lo stato di emergenza nei territori delle province di Bologna, Modena, Ferrara e Rovigo, il capo della protezione civile ha inaugurato quel potere con le ordinanze del 22 maggio e del 2 giugno che minutamente organizzano gli interventi di soccorso, apprestando i necessari mezzi al riguardo, e in nessun modo considerano i concorrenti e irrinunciabili poteri delle istituzioni statali della tutela del patrimonio storico e artistico.
Il Ministero dei Beni culturali – che è stato per molti anni un punto di riferimento a livello internazionale, almeno per quanto riguarda le metodologie. A partire dal piano di prevenzione antisismica elaborato da Giovanni Urbani all’inizio degli anni ’80 e da quella Carta del Rischio costituita, faticosamente, a partire dagli anni ’90 dall’Istituto Centrale del Restauro- si è “autoesautorato” dai propri compiti statutari. Ormai completamente incardinato nella struttura della protezione civile, il potere degli organi territoriali preposti alla tutela è evaporato dal territorio e l’attività del Direttore Regionale si riduce quasi esclusivamente alla sottoscrizione di ordini di demolizione. Quasi che l’esercizio della tutela sia considerato ostativo o comunque incompatibile con le più urgenti iniziative di soccorso e messa in sicurezza.
Si tratta di un assetto che non promette nulla di buono, non rassicura sull’abbandono delle chimere della crescita drogata delle Grandi Opere, in modo che le risorse previste per la costruzione di infrastrutture quali la pedemontana o la bretella Sassuolo – Campogalliano, per non parlare della Tav, siano destinate all’opera di ricostruzione e di riqualificazione degli immobili con l’adozione di regole antisismiche finalmente cogenti.

Non abbiamo fiducia che l’emergenza ingeneri un felice cambiamento: la Tav in Val di Susa e le new towns berlusconiane che assediano L’Aquila, l’autostrada tirrenica e il “piano casa” che devasta le città, sono il bottino promesso e regalato a finanziatori e appaltatori, banche e imprese, sempre gli stessi, anche se amano cambiare etichetta in raggruppamenti di imprese, controllate, partecipate, banche d’affari e d’investimento. E sempre gli stessi sono i canali per il riciclaggio del denaro sporco delle mafie, della corruzione, dell’evasione.
E vale la profezia di Cederna dopo il terremoto dell’Irpinia: “Il terremoto è un aspetto di quell’autentico sisma permanente che è il saccheggio generalizzato del territorio e delle sue risorse.”


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