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Grande attesa per uno spettacolo presentato con molti onori (quelli che sono sempre mancati alla regista, spesso contestata, ma che ultimamente, diciamo da quando ha diretto il debutto della stagione della Scala lo scorso anno, si sono decisamente rarefatti). La trilogia si compone di tre atti brevi indipendenti (Acquasanta, Il castello della Zisa, Ballarini), ma percorsi da un fil rouge che li accomuna: è il tema della marginalità a essere indagato attraverso tre storie differenti, tre personaggi appartenenti a tre condizioni diverse. Povertà, malattia, vecchiaia. Il mozzo Spicchiato che dalla terraferma su cui è stato abbandonato sogna il mare (amore e senso della sua vita); il ragazzo catatonico Nicola, accudito da due suorine che squittiscono in una frenesia di gesti e battibecchi; una vecchia coppia di ballerini che ripercorre la propria vita a ritroso sotto il firmamento illuminato, prima del triste ritorno a un presente di solitudine vedovale.
Tutti indossano gli occhiali, che dovrebbero essere l'elemento accomunante e che invece è assolutamente marginale - come ammesso dalla stessa Emma Dante, che proprio perché sono irrilevanti li ha messi nel titolo. Solo nel primo capitolo hanno un valore anche drammaturgico, quello di caratterizzare i diversi personaggi interpretati dall'eclettico e travolgente Carmine Maringola, la cui interpretazione è così coinvolgente da far dimenticare le perplessità sullo spettacolo. Poche parole, tanta musica (popolare, trascinante), una gestualità esasperata che sembra sopperire alla povertà drammaturgica. Nel secondo capitolo le parole sono più rare (esplodono dalla bocca di Nicola, che con trasporto infantile e commovente si immagina di avere davanti il castello della Zisa), per scomparire del tutto nell'ultimo. L'impressione generale è che si tratti di un lavoro incompiuto, di una fase di transizione verso una forma scenica ancora da trovare. Non immaginiamo dove possa condurre questa ricerca: a un arricchimento della parola attraverso elementi più istintivi come la gestualità emotiva e la musica? Oppure al silenzio totale, affidando la drammaturgia esclusivamente a elementi visivi e sonori? Intanto che Emma Dante cerca, noi rimaniamo perplessi.Visivamente il terzo capitolo è lirico e intenso: i tagli delle luci, i due bauli speculari ma opposti, le luci sospese a creare il firmamento rendono ancora più poetica la rappresentazione dei due vecchi, tra ricordi di gioventù e pruriti sessuali mai sopiti. Non citeremo il Classico di turno (Beckett, in questo caso), come fa ormai molta critica, che in mancanza di altri termini di paragone mette in mezzo un Classico del Novecento (che tanto non si sbaglia mai). Classici che la stessa regista dice di non avere preso a modello. Altro è il punto di partenza del suo teatro, alla continua ricerca di condurre un'indagine intima sull'Uomo attraverso elementi che ritornano costanti (come la presenza del dialetto, che rende più autentica l'espressione - ma che a volte sembra compiacere un po' troppo il gusto del pubblico, come nel caso del napoletano strettissimo di Spicchiato).Un lavoro cui manca ancora un'identità. Non chiamiamolo studio, però: lo studio è un genere di rappresentazione a cui non si può ricorrere per definire uno spettacolo ogni volta che il lavoro non è riuscito completamente. Ad ogni modo la regista sta continuando a lavorare con gli attori per perfezionare questa Trilogia.Per un teatro così viscerale, così fisico, così primordiale come il suo stupisce come sia possibile apprezzarlo più intellettualmente che non emotivamente.visto al Crt il 16.II.2011TRILOGIA DEGLI OCCHIALIdi Emma Danteregia di Emma Dantecon Carmine Maringola (Spicchiato), Onofrio Zummo (Nicola), Stéphanie Taillandier Claudia Benassi (le suore), Sabino Civilleri e Elena Borgogni (i vecchi)
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