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Favola di Filippo Timi: la recensione

Creato il 27 maggio 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

favolaC’è il teatro. Poi c’è Filippo Timi. Sfacciato, irriverente, imprevedibile, incontenibile.
Parafrasando il sottotitolo del suo spettacolo possiamo dire: “C’era una volta il teatro. E dico c’era perché ora non c’è più”. Nel bene o nel male. Perché Filippo Timi è così, talmente eccessivo e fuori dagli schemi da non lasciare indifferenti, sempre pronto a sparare altissimo e noncurante di mancare il bersaglio. Se infatti l’attore e regista perugino nel 2012 aveva fatto centro con Amleto2, sbagliando poi del tutto il tiro nel 2013 con lo smodato Don Giovanni, nel 2015 torna in gran forma riportando on stage il suo primo amore e infallibile cavallo di battaglia: Favola.

Badate bene: non siamo di fronte a principi e re, né tantomeno a dubbi amletici, ma ad un’opera assolutamente inedita, che svuole svelarci il lato oscuro della favola più idilliaca. Filippo Timi, nei panni della raggiante e amazzone Mrs Fairytale, ci conduce in un mondo da favola, letteralmente da favola, tra colori da bomboniera e atmosfere zuccherofilanti. In piena atmosfera anni Cinquanta, tra il candore di Judy Garland (Il mago di Oz) e la severa bellezza velata di Kim Novak (Vertigo), Favola è una messinscena dove il cinema va per la maggiore (bellissima la citazione de La vita è meravigliosa di Frank Capra).

Filippo Timi è mattatore assoluto, motore di ogni gag, giocate per lo più su piccoli vezzi e ostentate iterazioni, capace di condurre (dolcemente) lo spettatore fino allo sfinimento “da risata”. Al suo fianco la bravissima Lucia Mascino, comprimaria d’alto livello, ottima spalla capace nel non pestare mai i piedi al “compare”. “Terzo incomodo” Luca Pignagnoli, che, pur di caratura minore, sa meritarsi non pochi applausi interpretando due ruoli contemporaneamente.

Insomma, con Favola Filippo Timi continua a testa china e allo stesso tempo alta e fiera la costruzione del suo personalissimo (e inimitabile) modus teatrandi proteso sempre in avanti, verso un “oltre”, come di chi si sporge sempre più dal palc(hett)o di terzo ordine senza cadere mai.

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