Emme

Da Miwako
Non lo facevamo da tempo, forse più di un anno. Era routine, un tempo, almeno in certi periodi dell'anno. La lampada a forma di papavero instancabilmente accesa, gli appunti, i libri, le dispense, gli schemi, sparsi ovunque, indistintamente, dal tappeto al letto; i pennelli tra i capelli, tra i suoi fusilli rossi, tra i miei fili di corteccia bruni; l'odore pregnante del caffè delle tre, la cioccolata, la redbull, le milleuna sigarette, col fumo che si mescolava alle parole, alle risate, talvolta alle lacrime.
Prendiamo un gelato alla Gelateria de' Neri, prima di salutarci; "Sali?"; ho già infilato i quattro piani di scale, mentre penso a quanto mi sarà piacevole un'ultima incursione notturna in casa della M., a pochi giorni dalla partenza.Tutto come sempre. Calamite sul frigo, foglietti pieni di non-sense, il bagno rosa fast-food americano anni 50, la sua stanza, immersa nello stesso indomabile caos di cui sono fatti i suoi capelli; "M., la Callas dov'è?", "La devo restaurare; non ha retto molto bene all'ultimo trasloco". Andiamo in cucina, in cerca di ghiaccio e acqua fresca; ci sediamo nelle due poltroncine affrontate l'una all'altra, sul terrazzino."Hai idea di quante volte siamo state sedute così, l'una davanti all'altra, coi libri sulle ginocchia?""Già ... L'ultima volta c'era D'annunzio, delirante solo al pari dell'esame di Estetica!"
Sembriamo quasi le stesse, ma questa volta non lo siamo. Niente esami su cui sudare sangue, niente libri e paranoie, questa volta è diverso, ci siamo solo noi e un'ultima, inaspettata, lunghissima notte insieme.E' sempre affollata, casa della M. Coinquilini, fidanzate ninfomani, ospiti da mezza Europa, gente a caso; quando in casa della M. si smetterà di respirare quest'atmosfera da "Appartamento spagnolo" sarà la fine di un'epoca. Ma non credo avverrà tanto presto; la M. e quel nugolo di fricchettoni di cui si è sempre circondata, credo rimarrà un punto fermo ancora per un po'.Mi racconta della prima esperienza da aiuto costumista, in una produzione italo-russa sul calcio storico fiorentino (???); mi racconta di M., di come l'ha conosciuto e di come lo zodiaco e il suo spirito indipendente lo rendano simile a me; e poi famiglia, progetti, paure, speranze, idee, cazzate, proprio come un tempo.Le racconto tutto anch'io. Proprio tutto, anche quelle cose insospettabili che ho avuto il timore di dire, già sapendo che la sua porta, di casa, mente e cuore, per me rimane sempre aperta.Le scende una lacrima mentre "mi confesso". E' incredibile come il suo rimanga, negli anni, l'animo incorruttibilmente puro di un bambino.
Arrivano le tre, e arriva pure il caffè. Terribile, come sempre, troppo pressato e super amaro, come quando avevamo ancora diverse ore di studio davanti a noi; il cestello della lavatrice gira su di sè, riavvolgendo il nastro del tempo di giorni, mesi, anni. Così apriamo valigie, bauli, cerniere, a tirar fuori le cento cose di questi sette anni, a ricordarci vicendevolmente chi eravamo, solo per vedere meglio chi siamo.E ridiamo, in mezzo alle storie e alle memorie, mentre tendiamo i panni sul terrazzino, e intanto sono le 4.30 e domattina c'è da partire e dovremmo dormire e non abbiamo mica più vent'anni; ma per stasera - e solo per stasera - è come se li avessimo. Abbracciate, ammiriamo il primo sussurro di sole contendersi l'est del cielo con la cupola del Duomo, in quella che è l'ultima, l'ennesima, ma forse anche la prima alba insieme. Nasce una promessa in grembo ad un nuovo giorno, senza nemmeno il bisogno di aprir bocca, l'una per l'altra saremo, ci saremo, non importa dove nè quando.Tre ore dopo, ci salutiamo sull'uscio di casa sua. Frettolosamente, ci sorridiamo con le orecchie tappate, per sentire un po' meno.Infilo le scale, di nuovo, in discesa per i piedi, in salita per il cuore.Prima di uscire nel fuoco delle dieci pesco una penna dalla borsa, un foglio dall'agenda e le scrivo due righe. Gliele appiccico al portone, con un cerotto, ci faccio un cuore sopra e me ne vado.Un cuore grosso così.


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