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Il cinema di Alessio Di Zio
Le opere di Di Zio non sfigurerebbero, citate su un dizionario, di fianco alla parola "intimismo".
I plot dei suoi film, quasi tutti del 2011, dovete cercarveli nel cuore, l'opera di costruzione emotiva avviene lì, più che nel cervello, è una questione d'anima, come quella messa a nudo dai vari protagonisti
È un'infinita attesa "beckettiana" quella dei personaggi di Swinging Horses e Roberto Pellegrinaggio, sospesi in un limbo temporale, fatto di gesti rituali, espressioni accennate e silenzi, interiorità esposta agli occhi dello spettatore che assimila emozioni mano mano, visti i tempi dilatati a dismisura del cinema di Alessio.
"Roberto" è ai margini del sociale, impegnato in un tentativo empatico di ricontatto con la natura, guardando con la coda dell'occhio il mondo evoluto; a sera, non si saprà se ciò andrà a compimento in un successivo giorno o tutto decadrà.
La "tarantiniana", solo per quel che riguarda il comparto fotografico e sonoro, presenza di Swinging Horses ricerca la propria infanzia, facendo leva su feticci simbolici che la rappresentano. Il character dall'aspetto vintage, circondato da oggetti che rimandano al passato, con in background vecchi suoni, parlerà con la propria coscienza per riavere gli anni trascorsi.
"Il Piacere" è invece un inno alla consapevolezza, un "monologo silenzioso" sulla sicurezza di sé. L'interprete si prende i suoi tempi per riflettere, si domanda e si risponde (dall'interno, ma noi osserviamo), e pare chiedere una conferma anche allo spettatore. Positivo, insieme a Rodolfo Valentino, in cui un pittore vive egli stesso una sua opera, dal di dentro, è parte di un grande quadro d'autore. Quadro è la parola giusta perché un altro tratto saliente delle pellicole in esame è l'esasperata ricercatezza dei piani, la composizione dell'immagine assume massimo valore, un oggetto alla sinistra o alla destra dell'inquadratura varia il messaggio raccontato in quell'attimo, lo show di primi piani, piani americani, mezze figure, ecc. infrange i tempi classici.
Culto per le geometrie in The Park, realizzato nel 2010, vicino a Chris Marker e ai concetti sovietici di realtà inesplorata, rimarca che gli ambienti quotidiani offrono almeno quanto il fantastico, basta sapersi soffermare, fermarsi un attimo, non correre sempre...
A proposito di Marker: di rilievo la tecnica del fotogramma che prende vita usata più volte da Di Zio, in modo simile a La jetée.
Arriva anche la maturità professionale con il mediometraggio Le favole di Casimiro, storia di un ragazzino che deve fare i conti con la crescita, con il mondo che si muove veloce attorno a lui. C'è la famiglia affettuosa ma "macchinosa", l'amico che vuole essere più grande di quello che è in realtà, i coetanei già entrati nel circolo del conformismo adolescenziale, fatto di ragazzine, sport, griffe e Facebook. Casimiro non riesce a star dietro allo scorrere del tempo, vorrebbe che il suo compleanno non arrivasse mai, è confuso, vive in quell'ovattata nuvola che, contro la sua volontà, deve essere completata e messa da parte.
In questo caso il regista si avvale di una troupe più vasta, con ruoli definiti e produzione alle spalle.
Sinceri complimenti a quest'autore appena diciannovenne, dimostrazione in carne ed ossa che in Italia le idee e le personalità cinematografiche ci sono, anche in un Centro-Sud che non è solo cabarettisti riccioluti e stereotipi.
L'underground offre ottime cose, speriamo in un futuro mercato che sappia scovare e valorizzare, per adesso ne godiamo noi attenti appassionati.
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