«Mi hanno offerto il Tg1 due volte, in passato, e ho rifiutato». Così Enrico Mentana, direttore del Tg La7, in un’intervista al settimanale Vanity Fair che gli dedica la copertina del numero in edicola dal 4 maggio. Mentana rivela i dettagli del suo rifiuto: «Perché ci ho lavorato nove anni, so come funziona. In Rai tornerei solo se mi venisse garantita la libertà di non rispondere al telefono ai politici. Una cosa che non concederanno mai. Io sono l’unico direttore di Tg che non vota. La politica oggi è raccontata da piccoli fatti che non c’entrano con la passione. Per questo tante storie private, di sesso e tradimenti, prendono piede: un tempo non è che fossero più casti, ma avevano più argomenti. Oggi la politica è solo l’arte del prevalere».
Ecco i passaggi più importanti dell’intervista rilasciata alla giornalista Sara Faillaci:
Il fatto che abbia quasi quadruplicato gli ascolti significa che gli italiani sono più interessati alla politica di quanto si pensi? «Significa che ci sono più pubblici. C’è ancora chi segue Avetrana, ma c’è una fetta, neanche marginale, che vuole altro. Chi mi ferma per strada dice sempre la stessa frase: “Grazie, perché mi ha restituito il gusto di vedere un vero telegiornale”. C’era spazio per rifare un Tg come era vent’anni fa, prima che a cambiarlo arrivasse un vento a cui io, con la nascita del Tg5, ho fortemente contribuito».
Che budget ha a La7? «Forse un quarto di quello del Tg5. Ma più che i soldi fanno le idee».
Anche il suo stipendio si è molto ridimensionato rispetto ai tempi del Tg5. «Quando stai fermo a lungo e ti arriva un’opportunità come questa, lavori anche gratis. Dall’editore, Telecom, ho accettato uno stipendio che è alto, per carità – 320 mila euro lordi –, ma che è un quinto di quello che prendevo a Mediaset dopo tanti anni di lavoro. Però ho chiesto a La7 un premio di risultato per ogni punto di share di crescita. Quindi probabilmente guadagnerò parecchio».
I punti di crescita ormai sono quasi sette: quanto si avvicinerà al suo vecchio stipendio? «Ci andrò molto vicino».
Che cosa pensa del Tg1 di Minzolini? «Orgogliosamente filogovernativo, diverso da quelli di Rossella e Mimun, allineati ma non di battaglia. È una rivoluzione perché, prima di lui, il Tg1 cambiava solo per un 20% a seconda del partito che saliva al governo. E la sta pagando: i telespettatori antiberlusconiani vanno a cercare altro».
Ha diretto per 13 anni il Tg dell’ammiraglia di Mediaset: difficile credere che non abbia avuto condizionamenti. «Nessuno mi ha mai detto che cosa dovevo o non dovevo fare. La mia libertà si cibava del successo. Magari la telefonata c’era: “Guarda che questa cosa dà fastidio”. Ma, se era una notizia, la davo lo stesso. Quando a Berlusconi ha fatto comodo avere un Tg che facesse più i suoi interessi politici, mi ha sostituito».
La sostituzione alla guida del Tg5, a fine 2004, seguita cinque anni dopo dalla rottura con Mediaset sul caso Englaro, le hanno dato la fama di uno dei pochi giornalisti indipendenti. «Ma io non ho fatto nulla per alimentare questa sindrome da conte di Montecristo: non ci sono ruggini o velleità vendicative. Se Berlusconi fa una cosa giusta lo diciamo, se fa una cazzata anche. Statisticamente, succede di più la seconda».
Che cosa pensa di lui? «Ha monopolizzato la politica italiana negli ultimi vent’anni, anche a causa della debolezza dei suoi avversari. A volte irrita, a volte diverte. Ma è difficile giudicarlo da quando, in questa guerra tra bande, ogni fatto della sua vita privata – che tale dovrebbe rimanere – viene usato in chiave politica. Quasi nessuno si chiede seriamente se abbia governato bene o male».
Diceva che non ci sono ruggini con Berlusconi, ma nella nuova edizione del suo libro Passionaccia spiega che è rimasto disoccupato così a lungo per un veto di Berlusconi. «Confermo. La7, nella persona del numero uno di Telecom Franco Bernabè, mi aveva cercato pochi giorni dopo la rottura con Mediaset, nel febbraio 2009. La cosa fu bloccata».
Da chi? «Da chi detiene il potere. L’editore di La7 è Telecom, dentro ci sono Generali, Mediobanca e altri soci pesanti. Di certo la politica non ha caldeggiato la mia nomina: una persona che ha appena litigato con Mediaset non è consigliabile».
Perché Berlusconi l’avrebbe costretta a questo esilio forzato? «La ritengo una blanda censura di mercato. Voleva evitare che si facesse un Tg di successo, che togliesse telespettatori e pubblicità, e dirmi: “Guarda che non è che fai quel che vuoi”. Farmela un po’ pagare, insomma. Ci sta».
Sempre in Passionaccia racconta che, alla vigilia del suo approdo a La7, Berlusconi a sorpresa le offrì di rientrare in Mediaset. «Me lo trovai di fronte per caso alla feste del 2 giugno al Quirinale. Mi disse: “Preferirei che tornasse a Mediaset. Non ho avuto nulla a che fare con il suo allontanamento e credo sarebbe giusto chiudere quella ferita. La chiamerà mia figlio”. Quando lo incontrai, Piersilvio era emozionato perché l’indomani sarebbe nato suo figlio. In questo clima festoso fu più facile dirgli di no quando mi offrì tutto quello che c’era da offrire».
Che cosa? «Non importa».
Mettiamola così: se Piersilvio le avesse proposto il Tg5, avrebbe accettato? «La storia non va mai all’indietro. Era giusto che facessi una cosa diversa in un posto diverso».