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Enrico Nicoletti: vicissitudini di uno strozzino di successo (prima parte)

Creato il 27 febbraio 2012 da Nottecriminale9 @NotteCriminale
di Alessandro Ambrosini
Enrico Nicoletti: vicissitudini di uno strozzino di successo (prima parte)Enrico Nicoletti, un nome che rimane e rimarrà nella storia della criminalità organizzata romana. 
Da sempre considerato il cassiere della Banda della Magliana, non ha mai smesso di delinquere. 
In realtà, questo uomo a cui sono stati sequestrati, a suo tempo, 2600 miliardi delle vecchie lire nasce come carabiniere ma rimane poco nei panni di chi la giustizia la difende. 
E’ stato, e forse lo è ancora, un faccendiere del crimine di primo livello. Tanto da essere stato lui a “finanziare” per degli investimenti immobiliari, all’inizio della sua attività, un altro personaggio di spicco: Flavio Carboni. 
Siamo negli anni ‘60 ancora, in pieno boom economico e Nicoletti inizia la sua carriera come usuraio mettendo a frutto le disgrazie di alcune aziende in difficoltà. Riuscì così, con pochi soldi ad acquisire i primi immobili e le prime attività commerciali. 
Una mente criminale ma anche una mente finanziaria di spessore, cosa che gli permise di entrare nel circuito dei grandi investimenti. Ma erano ancora gli albori di questa “fulgida carriera”. Non ci volle molto tempo perché lo yuppie dell’usura entrasse nel riservatissimo club dei più potenti strozzini della Capitale. 
Operava con Domenico Balducci, quello che aveva il negozio a Campo de’ Fiori con il cartello : Vendo denaro; Spurio Oberdan e Piero Cuccarini. Personaggi di tutto rispetto nel torbido mondo dei “cravattai” ma anche gli uomini di collegamento con la mafia e con Pippo Calò, altro cassiere, ma delle famiglie siciliane.
  Enrico Nicoletti: vicissitudini di uno strozzino di successo (prima parte)Il rapporto tra Enrico Nicoletti e la Banda della Magliana ha un nome e un cognome: Enrico De Pedis, uno dei capi, sicuramente il più potente e sicuramente il più scaltro. 
Dopo essere uscito di galera, il capo dei testaccini intrecciò dei rapporti preferenziali con Nicoletti e Sergio De Tomasi, altro appartenente di spicco del mondo dell’usura. 
De Pedis aveva capito che se si voleva criminalmente crescere ci si doveva addentrare su dei livelli che solo il Nicoletti poteva assicurare. I rapporti tessuti dall’ex carabiniere nel mondo della grande finanza assicuravano un flusso di denaro continuo e guadagni con la G maiuscola. 
Era il riciclaggio il piatto forte, magari mascherato sotto forme legali e attività in regola. De Pedis quindi cercò di entrare nel tessuto dell’alta società lasciando al gruppo storico i business di strada. 
Soluzione che alimentò moltissimo malumore nel gruppo storico. 
 E Nicoletti come si pose in questa situazione di forte tensione? Da buon commerciante non prese una parte, il cliente ha sempre ragione, chiunque sia. 
Mentre Nicoletti traccheggiava, il suo compare De Tomasi rimaneva fedele a De Pedis. 
Fino al 2 febbraio del 1990, quando in Via del Pellegrino, trovò la morte a colpi di pistola colui che dorme il sonno eterno nella Basilica di Sant’Apollinare, colui che tra i malavitosi dei bar dall’Alberone a Testaccio era chiamato Renatino, uno dei re della Banda della Magliana.
 Enrico Nicoletti: vicissitudini di uno strozzino di successo (prima parte)Nicoletti non perse tempo, riallacciò subito i rapporti con la vecchia guardia della Banda e particolarmente con Marcello Colafigli. 
Il tutto, mentre ancora la faida interna mieteva attentati e morti a ripetizione e la sua concessionaria Euro Car Tuscolano, rilevata per i troppi debiti del titolare originario verso questo signor benefattore, veniva presa a pistolettate. 
Non erano più i giorni in cui girava per le strade del centro con la stessa posa del Re Sole. Per lui erano giorni di paura, tanto da chiedere al notaio Di Ciommo di prestargli l’aereo personale per scappare da un clima rovente. 
Ma, l’uomo d’oro della Magliana non poteva non riuscire a tessere la giusta tela per rimettere le cose apposto. E ha tessuto molto bene: con le autorità e con chi restava della Banda. 
Perse la sua villa dai rubinetti d’oro ma continuò a supportare Flavio Carboni e i suoi affari immobiliari, a volte anche per coprire i suoi debiti. 
I suoi tentacoli toccarono tutte le organizzazioni criminali che volevano affacciarsi nella capitale, compresi i Casamonica. 
Una sorta di guardia privata con cui intrecciò rapporti che rimasero nel tempo.

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