È stata finalmente approvata la legge sull’equo compenso per i giornalisti freelance e collaboratori autonomi dei giornali. Un grande passo per la regolarizzazione di tanti giornalisti precari che lavorano spesso per cinque, dieci, quindici euro a pezzo, o a volte neanche retribuiti. Un fenomeno molto diffuso di cui abbiamo scritto più volte. Un grande passo, ma che ancora non basta, come spiega nel comunicato del collettivo di giornalisti precari di Roma Errori di stampa, che pubblichiamo.
L’Equo compenso è legge: un fatto storico, che arriva dopo mesi di lavoro senza sosta dei coordinamenti dei precari di tutta Italia, dopo il grande contributo di una parte del sindacato (Commissione nazionale lavoro autonomo dei free lance) e con la spinta pressante fatta dall’Ordine dei giornalisti. Una legge che combatte – per la prima volta – il caporalato giornalistico, che proibisce, di fatto, di pagare (anzi, sottopagare) un pezzo 5 euro o anche meno. Ma adesso viene il bello.
Come Errori di stampa, siamo molto soddisfatti per l’approvazione della legge anche perché si prende finalmente consapevolezza che nel settore dell’editoria i contratti di lavoro “atipici” rappresentano ormai la regola e non semplicemente l’eccezione. E’ esistito fino ad ora inoltre un enorme disparità di trattamento fra giornalisti contrattualizzati e non, assolutamente ingiustificata poiché per impegno, responsabilità, mole di lavoro, i giornalisti atipici non si differenziano dai colleghi con contratti a tempo indeterminato.
Gli emendamenti hanno sicuramente migliorato il testo e apprezziamo la previsione di sanzioni contro le aziende che non rispettano la legge. Quello che vogliamo sottolineare però è che serve un controllo stretto poiché viviamo in un paese in cui, troppo spesso, le leggi ci sono e non vengono rispettate. Occorre quindi che ci sia un controllo serrato nelle redazioni, per evitare, ad esempio, che per non incappare nelle sanzioni si ricorra (sfruttandoli) a contratti non giornalistici.
Vedremo da subito qual è la volontà reale di dare applicazione alla legge. Ne aspettiamo l’entrata in vigore e dopo 30 giorni l’istituzione della Commissione per la valutazione dell’equo compenso nel lavoro giornalistico. Ci piacerebbe infine che nell’ambito dei lavori della Commissione sia permesso ai precari di dire la loro perché crediamo sia buona prassi scrivere le leggi ascoltando il parere di chi per primo risentirà dei loro effetti.
La legge sarebbe stata davvero rivoluzionaria se avesse previsto anziché una determinazione dell’equo compenso “in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria” una retribuzione più alta per i precari rispetto a quella prevista per i contrattualizzati. Noi siamo convinti infatti che la flessibilità sana, che tanto piace ai ministri del governo tecnico preveda anche una maggiore retribuzione. Nel caso dei giornalisti, per esempio, i precari sono costretti ad affrontare spese che non gravano sui colleghi contrattualizzati come le spese di telefonia, quelle per la mazzetta dei giornali, per la connessione internet, per i trasporti, per l’abbonamento alle agenzie di stampa.
Con l’Equo compenso rilanciamo il nostro censimento: a Roma per la prima volta, quest’anno, si è potuta conoscere l’entità del precariato giornalistico. Purtroppo i dati vanno aggiornati e entro 120 giorni presenteremo il nuovo dossier, in contemporanea a quello della Commissione. La sfida vera, quindi, inizia ora. Per fare in modo che la legge entri in vigore e che venga rispettata da tutti, per evitare che la politica non si lasci piegare dalla potentissima lobby degli editori. E per fare in modo che una legge come quella sull’equo compenso giornalistico possa “invadere” anche altri settori.
di Redazione | @cassintegrati