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Er Cecato e la cecataggine

Creato il 05 dicembre 2014 da Malvino
Lirio Abbate ci rammenta che un tempo, in Sicilia, politici, procure, preti e popolino negavano l’esistenza della mafia (Anno UnoLa7, 4.12.2014). Negarne l’esistenza sarà stato senza dubbio farle un favore, ma questo accadeva intenzionalmente? In qualche caso, sì, d’altronde a negarne l’esistenza erano innanzitutto padrini e picciotti, tuttavia non è difficile immaginare cosa spingesse tanti a definirla un’invenzione letteraria: la mafia in Sicilia era un sistema che in parte si sovrapponeva allo stato e in parte lo vicariava, sicché riconoscerla come entità criminale avrebbe assunto di fatto una valenza eversiva. Accadeva, così, che chiunque cadesse vittima della mafia, quando non potesse esser dato morto ammazzato per questioni di corna, fosse considerato, ancorché tacitamente, uno che non sapesse stare al mondo: era morto per questioni esistenziali, per non aver voluto accettare la realtà per quello che non c’era altro modo di immaginare potesse essere. Rigettare le regole di una società che la mafia aveva costruito per secoli a sua misura era un torto imperdonabile, ben oltre l’essere d’intralcio agli affari di Cosa Nostra: era un mettere in discussione la stessa idea di potere, così come venutasi a costruire nell’intreccio tra stato e mafia. Si negava l’esistenza della mafia per negare quell’intreccio, e a negarlo erano sia quelli che consentivano vi fosse, sia quelli che non lo vedevano perché del potere avevano un’idea sostanzialmente analoga a quella mafiosa, quella della violenza istituzionalizzata, del diritto degradato a favore, del privilegio esaltato a diritto, del cittadino corrotto a cliente o a famiglio, dell’amministratore come feudatario. Ci sono voluti decenni, e molti morti per disagio esistenziale, ma che la mafia sia esistita e ancora esista lo sappiamo, e sappiamo come vive, come pensa, come agisce. Dopo aver sventato la tentazione di concepirla come entità metafisica, sappiamo come nasce, come cresce e come si riproduce. Dopo averla vista all’opera, e dopo alcuni tragici travisamenti della sua più intima natura, sappiamo cosa le dia forza e cosa gliela tolga. Con ciò è venuta a costruirsi, indagine dopo indagine, processo dopo processo, una vera e propria scienza delle cose mafiose. Fallibile come ogni scienza, ovviamente, e come ogni scienza in grado di correggere i propri errori.
Non più connaturata alla sicilianità, come si voleva col confondere storia e destino. Né più questione di teodicea, come si voleva col ritenerla trascendente nel vederne gli stampi fuori dalla Sicilia. Patologia sociale, con tanto di etiogenesi e patogenesi, con terapie assai valide, se correttamente applicate, e a partire da una diagnosi accurata, possibilmente precoce, senza dimenticare l’indispensabile ruolo della prevenzione e della profilassi. Lavoro duro, ma almeno sembrano finiti i tempi in cui la peste sembrava dovuta alla congiunzione di Giove con Saturno. Abbiamo perfino qualche vaccino. Superfluo dire che la lotta durerà ancora a lungo, ma che a farcela perdere può essere solo il non vedere la mafia dov’è, sottovalutarne il pericolo, lasciare che la papula diventi bubbone. In tal senso occorre denunciare come pericolo pubblico chi si spende nel liquidare come inutile allarmismo il solerte intervento su un focolaio. Non sarà untore, ma al pari dei politici, delle procure, dei preti e del popolino che decenni fa in Sicilia negavano l’esistenza della mafia – de facto – lavora perché la peste diventi endemica.  «Secondo me – dice – questa storia della cupola mafiosa a Roma è una bufala… Forse tutto questo è abbastanza per una delle solite retate nel mondo del delitto, ma non è un po’ poco per definire il contenuto di un patto mafioso corruttivo nella capitale del paese?... Niente è più credibile a Roma, città estranea antropologicamente a tutti quelli che ora indagano su di essa, di una rete di piccola e media criminalità che si avvale di complicità dei bassifondi politici o di alcuni pesci piccoli che vi nuotano. Ma è allo stato delle cose totalmente incredibile la surrealtà di una cupola mafiosa, sia pure in forma originale, che si sia impossessata della città per realizzare fini di guida e orientamento politico della sua vita amministrativa nei modi e nelle forme che sono suggeriti dal linguaggio delle intercettazioni e dalla sua elaborazione nelle notizie relative all’inchiesta... Quella che vi stanno dando non è informazione su un’associazione delinquenziale ma una coglionatura ideologica per creduloni. » (Il Foglio, 4.12.1204). È il fisiologico rosicchiar di topi dove c’è formaggio, insomma, e si tratta di topi che ruggiscono come leoni, ma topi restano, e chi gli corre appresso è un esaltato con la fissa dei safari. Er Cecato avrà un avvocato, ma pure la cecataggine ne ha uno. Sì, il morto ha un sasso in bocca, ma era un fimminaro e l’avrà fatto fuori un marito cornuto. 

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