16.08: chiuse le conte, spente le luci, scambiati gli ultimi abbracci e auguri, ora di tornare a casa.
Ho fatto una tappa lungo la strada per comprare lievito madre e yogurt greco: ho voglia di esperimenti in cucina. Poi sono arrivata nel profumo delle mie stanze.
Era tempo di fermarsi, respirare a fondo, rintanarsi nella poltrona cara di memorie, accendere il caminetto, bruciare le bucce d’arancia e i gherigli di noci.
Ho letto un’email, che pare una lettera bella, appena appena arrivata, con attenzione, ed iniziato, nella mia mente, a scrivere una risposta, che sedimenterà per qualche tempo, così intanto il corriere si riposa.
Poi ho acceso anche la televisione, per avere un sottofondo vuoto che ipnotizzasse il mio cervello e lo imbalsamasse per un paio d’ore, per impedirgli di pensare.
Ogni tanto concedo al mio cervello di rincretinirsi davanti al nulla dello schermo così da rassicurare entrambi che non ci stiamo perdendo niente .
Poi ho cenato con dolci ravioli di zucca che cucino solo quando sono a casa da sola: non piacciono proprio a nessuno i ravioli di zucca?
L’aroma della salvia colta in giardino mi rimane ancora sulla dita.
Ho ascoltato il telegiornale regionale di Rai Tre, che è quello che mi infastidisce di meno. Ho pensato che adesso ricomincerà di nuovo il rumore assordante e inutile degli pseudo politici di questo paese strano.
Ho lavato i piatti, unto il ginocchio di inutili creme, agguantato il computer e chiacchierato via skype per un’ora con una persona che mi restituisce sempre il buonumore.
Ho salutato mio padre, di ritorno a casa, e insieme abbiamo aperto un pacco che gli hanno portato questa mattina. Ho telefonato ad un’amica che compie ottant’anni oggi ma nessuno ci crederebbe, a vederla.
In questi giorni incontrerò pochi amici e parenti, scriverò qualche email, ascolterò musica, leggerò libri in immersione profonda, curioserò tra i blog, curerò probabilmente anche il mio. Mangerò cose buone e non elaborate. Rifletterò sulla mia lista di cose da fare in lento accorciamento e , come ogni fine d’anno, tirerò righe di bilancio e stilerò piani e progetti per ciò che dipende da me.
Dormirò, soprattutto.
In quanto alla lista dei desideri per l’anno che viene, delle cose che competono al fato e non alla mia cura, dato che neppure il fato ha il potere di ridarmi le persone che amo e che non mi sono più accanto, chiederò che quelle che sono ancora con me ci rimangano a lungo. Ringrazierò anche l’anno che se ne va, per un grande regalo di primavera. Immagino che invocherò di nuovo perché gli amici di sempre si rassegnino ad accettarmi così come sono senza pensare a come potrei o dovrei essere, che quelli nuovi continuino ad entrare nella mia vita portando esperienze, voci, argomenti interessanti di cui parlare.
Sono sempre convinta che, nonostante tutto, ho ricevuto molto di più di quanto ho dato e che non ho molto da pretendere. Vorrei poter di nuovo camminare senza dolore, questo sì, però. Questo lo supplico: ho bisogno di aria attorno e del sangue che circola rapido nelle vene ai passi veloci, alle bracciate costanti, al fruscio degli sci sotto la neve.
Ho cinque giorni di pausa per pensare a queste cose o per non pensare a niente, prima di rituffarmi nel mondo.
Era ora.
(Grazie a R. per l’acquerello.)