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Di fronte all’impossibilità di onorare gli impegni assunti col programma che ha sottoposto all’approvazione degli elettori, ottenendola, un governo dovrebbe dimettersi. A maggior ragione, dovrebbe dimettersi di fronte all’eventualità di essere costretto a fare tutto il contrario di quanto fosse negli impegni presi, vuoi per congiuntura non prevista, che a posteriori è prova della debolezza del programma, vuoi per forza maggiore, che a priori è prova della debolezza del governo: in entrambi i casi sarebbero venute le premesse sulle quali fondava il patto tra rappresentati e rappresentanti, che dunque andrebbe rinnovato. Naturalmente questa regola non vale quando il programma elettorale è poco più un depliant pubblicitario.Quello che il Pdl presentò nel 2008 agli elettori prometteva “meno tasse sulla famiglia, sul lavoro, sulle imprese”, “più consumi, più produzione, più posti di lavoro”, “più entrate nelle casse dello Stato per aiutare chi ha bisogno, per realizzare le infrastrutture, per diminuire il debito pubblico”. Era quanto Silvio Berlusconi prometteva dal 1994 senza mai essere stato in grado di mantenere, probabilmente senza neanche averne l’intenzione: il patto tra elettori e governo era far finta di crederci sapendo che non sarebbe stato ragionevole aspettarsi troppo. E dunque non ha senso chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, forse neanche è giusto, tanto più che alternative di governo non sono oggi immaginabili più di quanto fossero alla caduta del governo Prodi. È la mancanza di una credibile alternativa a questo governo che obbliga a non tener conto della patente contraddizione tra il programma presentato agli elettori nel 2008 e le decisioni prese dal Consiglio dei Ministri in questi giorni.Sarà penoso e senza dubbio superfluo, ma occorre ribadire che ogni paese ha il governo che si dà e che in fondo merita. Poi, però, c’è chi pretende di strafare.
C’è chi pretende di rinsaldare il patto tra paese e governo sul mancato rispetto del programma elettorale. “Crediamoci ancora”, esorta Alessandro Sallusti (il Giornale, 14.8.2011). Ma è sempre possibile far meglio (o peggio, secondo i gusti) e allora ecco Giuliano Ferrara, l’intelligentissimo, che non cede alla constatazione della congiuntura non prevista o dell’evenienza di forza maggiore. Via, siete italiani, siete della pasta di Silvio Berlusconi, anche voi fate promesse in quasi buona fede, dovendo crederci per darlo a credere. Siate indulgenti, dunque. Prim’ancora che verso il governo, verso voi stessi: il patto sia rinnovato sulla necessità della menzogna e dell’inganno.“È un imbroglio ideologico dire che il governo si è accanito sul ceto medio, mettendo le mani nelle tasche degli italiani contrariamente alle promesse fatte da Berlusconi… Era una promessa da marinaio escludere, appunto «tassativamente», che il governo Berlusconi potesse mai prelevare quattrini dalle nostre tasche a fronte del debito pubblico al 120 per cento e in circostanze di crisi finanziaria generale particolarmente pericolose per l’Italia. Temeraria la promessa, enfatica e grossolanamente demagogica la delusione… Date le circostanze, probabilmente non si poteva agire altrimenti, e Padoa Schioppa o Bersani non avrebbero fatto niente di diverso da quello che hanno fatto Tremonti e soci…” (Il Foglio, 15.8.2011).La constatazione che Silvio Berlusconi abbia chiesto voti nel 2008 proprio per “agire altrimenti” sarebbe recriminazione “ideologica”, e la pretesa che il patto tra rappresentati e rappresentanti sia espresso da un programma di impegni sarebbe “demagogica”. Ecco che ad essere “demagogica” è la democrazia, e il demagogo è un povero cristo non diverso da voi, come potete impiccarlo alle sue promesse? Erano promesse da marinaio, i navigati non potevano non saperlo. Gli altri? Dei poveri stronzi. Vi conviene non essere fra questi ultimi e non dar luogo a delusioni enfatiche. Avete votato il Pdl? Il programma era un elenco di promesse impossibili da realizzare, dite che lo sapevate, così non avrete bisogno nemmeno di sforzarvi nel “crederci ancora”. Farete un figurone.
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