Nel pieno della crisi innescata dal “film su Maometto”, il primo ministro Erdoğan – qualche giorno fa a Sarajevo – ha annunciato un’iniziativa in ambito Onu per proporre una convenzione internazionale che equipari l’islamofobia ai crimini contro l’umanità. Una buona idea? Non credo! Da liberale, sono contro ogni forma di censura e di criminalizzazione del pensiero e della parola: anche di quelle più sgradevoli; anche perché, a mio avviso, il modo migliore per combatterle non è attraverso la repressione, ma attraverso il dialogo e la prevenzione fondata sulla responsabilità. Cioè, non è la legge ma chi dirige quotidiani e case editrici che deve rifiutare la pubblicazione – solo per fare un esempio – di scritti fallaciani o magdiallamiani: e chi ha ruoli pubblici dovrebbe stigmatizzare senza mezzi termini e col massimo risalto insulti e strumentalizzazioni contro qualsiasi religione (e a mio avviso – per parlare specificamente di Turchia – moltissimo andrebbe fatto per combattere – anche con iniziative eclatanti – i pregiudizi islamofobi di qualche mio collega piuttosto sprovveduto).
Erdoğan farà il suo bel discorso all’Onu: ma molto più importante è il lavoro che la Turchia – insieme alla Spagna – fa nell’ambito dell’Alleanza delle civiltà; mentre è comunque apprezzabile il testo - compresa la criminalizzazione dell’incitamento alla violenza, una fattispecie ben specifica – della risoluzione 16/18 (2011) del Consiglio dei diritti umani dell’Onu: un testo scaturito dal “processo di Istanbul” avviato da Hillary Clinton e dal segretario dell’Organizzazione per la cooperazione islamica Ekmeleddin İhsanoğlu, che punta alla creazione di meccanismi di dialogo e al monitoraggio – spero con successiva pubblica denuncia, con nomi e cognomi – delle pratiche islamofobe.
Domani invece parteciperò a un seminario sulla “democrazia inclusiva e dignità umana”, che prenderà le mosse – ospite il vescovo emerito (luterano) di oslo, Gunnar Stålsett – dalla strage di Utøya: ne parlerò presto sul blog.
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