Trama
Anno 7207. Dopo un disastro ambientale, a Rom-Do – una sorta di città-cupola dove la vita scorre all’insegna del consumismo e dell’ordine – gli esseri umani vivono insieme ad androidi chiamati Autoreiv. Ma la quiete regolata e priva di emozioni di questa società postapocalittica viene sconvolta da un’epidemia che colpisce gli Autoreiv, un virus chiamato Cogito che permette loro di acquisire consapevolezza ed emozioni umane. Contemporaneamente, da un laboratorio fugge una misteriosa creatura, chiamata Proxy. Il mostro, che si apprenderà essere immortale e virtualmente invulnerabile, semina morte tra i cittadini di Rom-Do. L’incarico di indagare su questi omicidi è affidato all’agente Re-L Mayer, la nipote del Reggente.
Re-L viene presto a contatto con il Proxy, che sembra attratto da lei. La chiave per risolvere il mistero dell’origine della creatura è Vincent Law, un immigrato trovato privo di sensi proprio nei pressi dell’abitazione dell’agente.
Riprendendo il filo delle molte opere cyberpunk e postcyberpunk, tra cui Appleseed e Ghost in the Shell, e di un classico della Fantascienza d’ambientazione noir come Blade Runner, Ergo Proxy rifiuta di farsi veicolo di messaggi distopici, incorporando tuttavia molti elementi cyberpunk in un inedito futuro tutt’altro che prossimo. È chiaro, fin dalle prime puntate dove la collocazione di genere si fa più evidente, che EP non entrerà nel cul-de-sac di tanta animazione nipponica, fuggendo ogni tentazione schematica/episodica ed evitando il canone ‘mecha vs. alieno’, pesantemente inflazionato.
L’Alieno, causa del Conflitto, qui è tutt’uno con l’umano e ne condivide il problema esistenziale principale: la ‘raison d’être‘. Lo spettatore che entra nel mondo di EP sperimenta questa prima delusione o disillusione. E gli è presto chiaro che non saranno le percosse e le alabarde spaziali a dominare episodio dopo episodio le sorti dei personaggi (o almeno non solo). Non ci saranno boss e sotto-boss di livello a monopolizzare l’attenzione, ma piuttosto ambiziosissimi flussi di coscienza e sequenze onirico-surreali.
Alla sceneggiatura troviamo Dai Sato, autore che all’epoca (siamo nel 2006) aveva già firmato numerosi lavori con i media più diversi (videogiochi, film e serie animate). Da ricordare almeno la sua collaborazione a tre episodi di un successo come Cowboy Bebop, e alla serie tratta dal capolavoro cyberpunk Ghost in the Shell: Stand Alone Complex.
Ambientazione
La realtà rappresenta dalla città di Rom-Do è una sorta di società ‘utopica’, come idealizzata da molti filosofi e letterati: in particolare, qui appare condizionata dalla concezione offerta da Aldous Huxley nel romanzo Il mondo nuovo (New Brave World, 1931), ma i riferimenti sono tanti, a opere recenti comeMatrix (la vita della cupola è perfetta e artefatta, in contrasto con una realtà esterna postapocalittica, proprio come nel film la simulazione è in contrasto con il mondo reale dominato dalle macchine), a classici come il già citato capolavoro fantascientifico di Ridley Scott.
Quasi a negare l’utopia dell’ambientazione, il disegno si fa nervoso, soprattutto nelle tante scene d’azione, e si contrappone alla calma e all’originalità stilistica che prevalgono quando è il momento di descrivere le ispirate manifestazioni del Potere a Rom-Do: stanze illuminate pienamente, ampie vetrate, preponderanza di bianco e colori luminosi; oppure capolavori dell’arte universale come la tomba di Giuliano de’ Medici di Michelangelo nella Sagrestia Nuova. Verrebbe da pensare a un’allusione voluta: il Potere vero si nasconde là dove tutti possono vederlo, in piena luce.
Ambition makes you look pretty ugly?
C’è chi definirebbe Ergo Proxy come un anime pretenzioso, e, almeno in parte, non sarò io a dargli torto. O forse, in maniera più indulgente verso il coraggioso studio Manglobe, si può riconoscere tra le tante caratteristiche di EP una forte ambizione. Se è vero che molti degli elementi filosofici che compaiono sono gratuiti, non tutti lo sono sullo stesso livello. Dal Cogito (ergo sum) descartiano, richiamato fin dal titolo, passando per la raison d’être, leitmotiv cui la trama darà ampio spazio. In altri casi, i riferimenti filosofici assumono un carattere quasi caricaturale, mostrando saldature a bassa temperatura e fratture malconce nel tessuto narrativo. Certo, ci sono fratture e fratture. Ed è più dignitoso rompersi il collo in un balzo alla Neo in Matrix che facendo una piroetta nei territori chiusi del (sotto)genere, ma nel primo caso, quello di EP, si cade da altezze rilevanti, e la legge di gravità è uguale per tutti.
Ergo Proxy rimane un tentativo – in certi punti riuscito, in altri meno – di staccarsi dal cortocircuito cyperpunk dei tardi anni ’90. Per qualità produttiva e ambizione rimane due passi avanti a un buon numero di anime dell’ultimo decennio. Questo, però, non lo rende paragonabile a capolavori come i già citati Evangelion, Cowboy Bebop, e Ghost in the Shell che conservano una diversa portata, sia nei fallimenti che nei molti meccanismi narrativi consolidati che EP tende a riproporre.
Difficile è dire con più precisione dove quest’opera fallisca. Di sicuro accusa una mancanza patologica del perturbante, il sentimento del sinistro, sempre fondamentale nella narrazione dell’Alieno, sia esso androide, divinità, mostro divoratore di uomini o alieno demiurgo. Manca la lama che squarcia i corpi degli Autoreiv, rivelandone abissalmente la natura umana o – e fa lo stesso – il laser che taglia in sezione il corpo umano, rivelandone la natura artefatta di macchina naturale estranea a sé. Non c’è stata opera di fantascienza riuscita (da Frankenstein a Il dottor Jekyll e Mr. Hyde, ma vedi anche Alien e Blade Runner) che non abbia incamerato questi orrori mostrandoci al tempo stesso il limite del genere, inteso come racconto di ciò che è immaginabile e conoscibile attraverso la razionalità.
Ergo Proxy si ferma di fronte al manierismo forzato e pervadente proprio di tante produzioni che hanno paura di fallire e vogliono piacere a tutti. Il risultato è un mistery a bassa tensione di ambientazione fantascientifica, con elementi gotici e velleità filosofiche. L’abbondanza di flashback e trovate letterarie, e i tentativi di esplorare ‘da dentro’ la psiche postumana, sulla falsariga degli episodi più alienanti e disorientanti di Neon Genesis Evangelion, non bastano a trarre la nave in un porto sicuro, e si arriva alle puntate finali piuttosto sfiduciati verso la narrazione.
Elemento aggiuntivo, che fa almeno in parte dimenticare i difetti, è la qualità della produzione targata Manglobe.
La resa artistica di personaggi come Re-L (che ci ricorda in particolare Amy Lee degli Evanescence), per dettagli e cura, non fa rimpiangere attrici di live-action in quanto a caratterizzazione visiva. Sfortunatamente, anche qui, il rovescio della medaglia è che i personaggi, come spesso accade nelle produzioni nipponiche, sono troppo distaccati emotivamente per innescare nello spettatore quel tanto di reazione che porti all’empatia e alla conseguente sospensione dell’incredulità. Si assiste agli eventi sì, interessanti certo, ma con vellutato distacco. Non mancano però le eccezioni a questo stato di cose, quasi esclusivamente focalizzate sulla presenza in scena del personaggio di Pino, vera e propria incarnazione del kawaii tanto caro ai fan del genere: un personaggio ispirato da Pinocchio, probabilmente filtrato dalla trasposizione dello spielberghiano bambino-robot protagonista di I.A – Intelligenza Artificiale.
In sintesi Ergo Proxy è un anime un po’ paranoide e affetto da deficit dell’attenzione, con i difetti e i pregi che ciò comporta. E non è certo un caso se i titoli di coda di ogni episodio sono accompagnati da ‘Paranoid Android’ dei Radiohead.
Recensione apparsa sul numero di novembre 2013 di Terre di confine
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