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Eric Priebke e la questione Vodafone

Da Leragazze

vodafone_logoVi chiederete che ci azzecca Priebke, il gerarca nazista,  con la compagnia telefonica Vodafone? Sedetevi comodi e andate avanti con la lettura ​ del post​.

Qualche giorno fa c’è stata ​un’​udienza ​ in tribunale​, una delle tante ​in corso ​per la causa Vodafone. Questa in realtà era una causa incidentale con la quale il nostro avvocato ha impugnato anche il licenziamento da parte di Comdata Care.

[Riassunto delle puntate precedenti: Vodafone con una cessione fittizia di ramo ​d'azienda ​ha venduto 1000 dipendenti a una società di servizi, Comdata Care, appunto. A giugno dello scorso anno un giudice del lavoro di Roma, di fronte al quale circa 130 persone avevano impugnato tale operazione, ha dichiarato illegittima la cessione​, e quindi Vodafone è stata costretta a reintegrarci - per poi licenziarci subito dopo con l'apertura di un procedimento di mobilità​; ma anche Comdata, si è liberata di noi con una lettera di licenziamento, in ottemperanza (secondo loro) al provvedimento del giudice. Il nostro avvocato ci ha voluto tutelare nell'ipotesi in cui un eventuale secondo grado di giudizio ​ sulla legittimità della cessione​ ribaltasse la sentenza del giudice romano. Vale a dire: se in appello noi dovessimo perdere e la cessione venisse quindi considerata legittima, noi non saremmo più dipendenti Vodafone in quanto ceduti legittimamente, ma il giudice non sarebbe in grado di obbligare Comdata a riassumerci per ripristinare lo status quo, e noi in definitiva resteremmo senza lavoro. L'avvocato ha quindi impugnato il licenziamento di Comdata ​solo ​nell'eventualità ​che un possibile ribaltamento della sentenza ​ci rendesse nuovamente disoccupati​.]

Insomma, il giudice ​chiamato in causa per decidere sul presunto licenziamento di Comdata ​in questo caso ci ha dato torto, non ravvisando nella lettera di Comdata un vero e proprio licenziamento, ma solo una presa d’atto della sentenza con la quale era stata dichiarata l’illegittimità della cessione ​: in questo modo secondo il giudice è stata ottemperata la volontà del​la sua collega​. Insomma abbiamo perso. Capita. Tantopiù che lo stesso avvocato riteneva questa causa suppletiva, e onestamente difficile. Il grave (a mio modesto e sindacabile avviso) è che il giudice ci ha addebitato le spese processuali per circa 3.500 €, dimenticandosi, forse, che siamo disoccupati e in mobilità. Ma tant’è pagheremo anche questo.

La sera, tornata a casa, raccontavo al Marito come era andata in tribunale e lui, in riferimento proprio all’addebito delle spese processuali, mi ha fatto leggere questo articolo. Qualche anno fa Eric Priebke aveva fatto causa a Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, e al giornalista ​Valter Vecellio per sequestro di persona e ​ingiurie. I giudici hanno dato torto a Priebke in tutti e tre i gradi di giudizio, prosciogliendo Pacifici e ​Vecellio da ogni accusa. Non che ci fossero dubbi, ma  tutto bene quel che finisce bene, i due accusati avranno tirato un sospiro di sollievo, e nella loro testa avranno certamente archiviato la questione. E invece no! Perché ​P​acifici e ​Vecellio hanno ricevuto una cartella esattoriale per il pagamento delle spese processuali ​(imposta di registro e spese di notifiche) somme che in realtà avrebbero dovuto essere addebitate a Priebke​. Essendo infatti Priebke nullatenente (almeno ufficialmente) lo stato ha ritenuto di addebitare la relativa somma a chi ingiustamente accusato, si è rivelato essere invece del tutto estraneo ai fatti. ​ Senza contare che in ​realtà Priebke, avendo fatto causa a più persone, alcune volte vincendo, qualche soldarello da parte ce l’aveva anche. Senza voler sottolineare che per le cause perse non gli sono mai state addebitate le spese processuali.

​Insomma, ecco due casi analoghi​ trattati in modo opposto. Anzi alla luce del caso Priebke il nostro trattamento mi sembra che sia più che opposto, oserei dire iniquo.

Ma si sa, in Italia a volte ci si dimentica che la radice della parola giustizia è iustus, che in latino significa (appunto!) giusto.


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