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Eritrea: realtà regionali e percorsi migratori

Creato il 11 novembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Beatrice Nicolini*

Una versione di questo articolo è stata pubblicata su rivista Munera

Il 23 ottobre 2015 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha stabilito di prolungare le sanzioni contro l’Eritrea per un altro anno. Nel giugno del 2015 Tekle Bisrat, Colonnello dell’Aeronautica, ha tentato di rovesciare Isaias Afewerki, Presidente dal 8 giugno 1993 – nato ad Asmara nel 1946 da una famiglia influente Hamasien di religione ortodossa di rito copto, al potere da più di vent’anni –, ma è stato ucciso e i suoi militari fuggiti verso il Sud Sudan. Nel 2014 altri quattro militari sono rimasti uccisi in un incidente automobilistico [1]. Divisa in sei regioni (zoba) e in 55 distretti (sub-zoba) [2], dal 2011 l’Eritrea produce oro dalla miniera di Bisha ma la sua economia è basata soprattutto sulle rimesse degli eritrei dall’estero, tassate dal Presidente (2%). Il Paese è isolato e militarizzato. Continue violazioni dei diritti umani secondo il rapporto delle Nazioni Unite unitamente a privazioni delle libertà fondamentali causano la fuga continua di più di 5.000 persone al mese verso il Mediterraneo [3]. Nessuno parla dell’Eritrea, i motivi: il Paese è piccolo e povero con una popolazione esigua (6.5 milioni), è privo di petrolio, non ha ambizioni nucleari e si trova in Africa.

1.1. Il passato coloniale

Una lunga linea di costa sulle rive del Mar Rosso di fronte all’Arabia Saudita e allo Yemen e il Sudan, l’Etiopia e Gibuti verso l’interno. Questi i confini politici sia della prima colonia italiana del Regno d’Italia per 70 anni, sia i confini attuali dell’Eritrea [4], da sempre una regione strategica al centro delle vie mercantili transahariane e marittime. Sono parte dell’Eritrea le 126 meravigliose e incontaminate isole davanti a Massaua dell’arcipelago delle Dahlak – oggetto di forti investimenti in ville di lusso e resort da parte del Qatar – e alcune isole vicino alle Hanish. L’Eritrea è uno Stato giovane formatosi nel 1993, multilingue e multiculturale, con due religioni: Islam sunnita e Chiesa ortodossa eritrea, oltre a nove gruppi che professano religioni africane tradizionali. Nove sono i gruppi riconosciuti: Tigrinya 55%, Tigre 30%, Saho 4%, Kunama 2%, Rashaida 2%, Bilen 2%, altri Afar, Beni Amir, Nera 5% secondo stime del 2010 [5]. Le lingue parlate sono afar, arabo hijazi, bedawiyet, bilen, geez, inglese, italiano, kunama, nara, saho, tigrè. L’Islam dei bassopiani si contrappone al cristianesimo dell’altopiano; formazioni claniche e appartenenza a società statuali sono presenti nella storia dell’Eritrea dove società gerarchizzate sull’altopiano coesistono con organizzazioni comunitaristiche nei bassopiani. E proprio tali realtà multilinguistiche e le molteplici consuetudini politiche e religiose non hanno mai dato luogo a uno Stato unitario [6].

Eritrea: realtà regionali e percorsi migratori
Divisioni amministrative in Eritrea

Secondo l’Ibrahim Index of Governance il Paese si trova al 50° posto nel ranking degli Stati africani, con una percentuale di governance del 29,9% (Mauritius è a 79,9%); i cambiamenti dal 2011 sono 0,4% [7]. Il Presidente Afewerki, di formazione marxista, è stato eletto dalla Assemblea Nazionale composta da 150 membri che si costituì nel 1993, poco dopo l’ottenimento dell’indipendenza. Afewerki, ripetutamente accusato di aiutare i gruppi ribelli contro gli Stati confinanti, nel 2011 ha inviato circa 300 soldati eritrei all’amico Gheddafi in Libia. Afewerki è oggi al potere dopo 20 anni di governo, non ci sono mai state elezioni politiche.

Nella storia contemporanea dell’Eritrea numerose furono le presenze che lasciarono progressive stratificazioni legislative e amministrative fino alla composizione di un’autocrazia militarizzata profondamente ancorata a ideologie prive di rispetto per i diritti umani. Due fattori contribuirono alle rivendicazioni delle popolazioni in questa regione e alla costruzione della sua centralità nella storia dell’ebraismo e del cristianesimo: a) la leggenda della Regina di Saba che diede origine alla progenie ebraica in Abissinia dopo aver fatto visita al Re di Israele Salomone. San Frumenzio, giunto nel IV secolo a.C. dal Mar Rosso, riuscì a convertire molte persone al cristianesimo molto prima che nel resto dell’Africa; b) la scoperta di fossili umani nella Grande Fossa Tettonica, una vasta area che comprende il Corno d’Africa. Il più famoso tra questi ritrovamenti fu l’esemplare di femmina di australopiteco conosciuto come Lucy, conservata oggi nel museo di Addis Abeba, in Etiopia. Tali leggende confermano la tesi semitica secondo la quale gli eritrei discendono dagli ebrei e appartengono a un gruppo superiore rispetto alle altre popolazioni africane [8]. Invasa dal governo egiziano alla fine del diciannovesimo secolo, l’altopiano occupato nel 1879 dall’Imperatore Johannes IV d’Etiopia (1821-1889) [9] fino all’invasione italiana, questa regione da sempre rilevante nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano fu oggetto di invasioni e lotte per il controllo delle sue terre [10].

Il suo nome deriva dal greco antico e venne attribuito dal governo italiano nel 1890 riferito al colore rosso della sua terra e alle rive del Mar Eritreo, Mar Rosso con cui confina a est. La sabbia della baia di Assab, la terra, appunto, costituì l’origine delle trasformazioni storico-politiche dell’Eritrea e causa oggi di immani drammi esistenziali e di migrazioni forzate. Il 15 novembre 1869 Giuseppe Sapeto (1811-1895), avventuriero con un passato da missionario lazzarista, comprò per conto dell’armatore genovese e grande patriota Raffaele Rubattino (1810-1881) la baia e alcuni isolotti prospicenti senza poi servirsene [11]. Il 10 marzo 1882 il governo italiano acquistò il possedimento di Assab, che il 5 luglio dello stesso anno diventò ufficialmente italiano. Dal 1885 al 1890 fu acquisita l’importante città portuale di Massaua che diventò la capitale provvisoria del possedimento d’oltremare mentre il controllo italiano si estendeva progressivamente verso l’interno. Nel 1890 l’Eritrea fu ufficialmente dichiarata colonia italiana. In realtà i porti di Aden e di Jeddah erano più attrezzati e l’armatore italiano Rubattino non volle inimicarsi le relazioni con l’Egitto appena aperto al mondo in seguito all’inaugurazione del Canale di Suez (1869). Il governo italiano pensò di utilizzarla come colonia penale. Ma la militarizzazione della colonia italiana era onerosa e negativa per l’opinione pubblica che vedeva l’aumento del deficit di bilancio causato dalle spese coloniali, così il passaggio da amministrazione militare a civile avvenne per motivazioni politico-economiche in madrepatria, non per considerazioni regionali. L’Italia trasformò culturalmente e politicamente il territorio, tentò di creare una colonia di popolamento, un’agricoltura intensiva sull’altopiano e un’agricoltura con il coinvolgimento di grandi aziende nei bassopiani. Importante fu la figura di Ferdinando Martini (1841-1928) che fu dal 1897 al 1907 il primo governatore civile della colonia Eritrea; sue furono le progettazioni amministrative e giudiziarie. Martini divise il Paese in quattro commissariati regionali e tre residenze. Giuseppe Raggi (1866-1947) diplomatico di carriera, che successe a Martini non credeva nelle potenzialità della colonia Eritrea e la lasciò nel 1915 per offrirsi volontario durante la Prima Guerra Mondiale all’età di 49 anni; Raggi restituì alcune terre indemaniate alle popolazioni locali, completò la ferrovia fino ad Asmara e iniziò i lavori per l’acquedotto di Massaua. Durante la colonizzazione italiana la politica degli espropri ebbe come fondamento il principio del diritto fondiario abissino che riconosceva al sovrano la proprietà del suolo. Secondo lo stesso principio lo Stato italiano avrebbe provveduto alla riassegnazione dei terreni. Nel 1893 il Negus etiopico Menelik II (1894-1913) denunciò il trattato di Uccialli [12]. L’Italia continuò la sua espansione verso l’entroterra e cioè verso Axum, Macallè e Adua e nel settembre 1895 si svolse la battaglia di Amba Alagi, la montagna che collega l’Etiopia all’Eritrea, tra le truppe italiane e quelle etiopiche, comandate dai Ras Mekonnen, Alula e Mangascia. Il 1 marzo 1896 gli italiani furono sconfitti ad Adua. Con il trattato di pace di Addis Abeba l’Italia riconobbe l’indipendenza dell’impero d’Abissinia e l’impero riconobbe la colonia italiana d’Eritrea. Durante il dominio italiano l’Eritrea fu la colonia più sviluppata: vennero costruite migliaia di chilometri di strade, di ponti e la ferrovia Massaua-Asmara, iniziata già alla fine dell’Ottocento; nelle città nacquero molti quartieri italiani. L’Eritrea, rispetto all’Etiopia e alla Somalia Italiana, fu la colonia con la più alta presenza di italiani; nel censimento del 1939 solo ad Asmara furono censiti 53.000 italiani su una popolazione totale di 98.000 abitanti. I coloni italiani vivevano con le donne eritree secondo la pratica del madamato che veniva accettato dalle donne locali, spesso solo dodicenni, al posto del matrimonio poiché consentiva una protezione. La sua soppressione nel 1937 con l’introduzione delle leggi razziali gettò nella povertà e nell’assenza di sostegno moltissime giovani eritree, mentre gli orfani di tali atti di pedofilia fascista furono abbandonati nelle missioni [13]. Una delle conseguenze non secondarie della politica razziale del regime e delle misure che ne derivarono fu quella di legare sempre più, nell’immaginario collettivo degli italiani, l’immagine delle donne native a quella delle prostitute. Tornando alle vicende coloniali, il 5 dicembre 1934, vi fu l’incidente di Ual Ual [14] tra Somalia italiana e Etiopia, che fornì il motivo all’Italia fascista per attaccare l’Abissinia, partendo il 3 ottobre 1935 dalle basi dell’Eritrea. L’Abissinia fu conquistata il 5 maggio e il 9 maggio tutte le colonie italiane del Corno d’Africa per ordine di Mussolini divennero Africa Orientale Italiana (AOI). L’Eritrea italiana entrò a far parte dell’AOI con un Governatore con sede ad Asmara e un territorio più vasto in compensazione per l’aiuto nella conquista dell’Etiopia, fornito al Regno d’Italia da parte di oltre 60.000 Ascari che non erano solamente eritrei e che mal sopportavano la guerra di posizione. Nella primavera del 1941, prima della resa alla Gran Bretagna da parte di Amedeo di Savoia (1898-1942), l’Eritrea venne occupata dall’esercito britannico a seguito della battaglia di Cheren [15]. La battaglia è ricordata come una delle migliori prove di forza della storia militare italiana recente, nonostante il risultato; e ciò a causa del coraggio dei soldati italiani e degli Ascari, e alla strategia militare del Generale Nicolangelo Carnimeo (1887-1965). Con la perdita di Gondar il 27 novembre 1941, la colonia era perduta. Dopo il 1941, per i quasi 100.000 italiani della comunità italiana dell’Eritrea iniziò una fase che condusse alla quasi totale scomparsa in pochi decenni. L’Eritrea rimase sotto occupazione militare alleata fino al 1947 e divenne un protettorato britannico fino al 1952, quando le Nazioni Unite la dichiararono federata con l’Impero etiope. Le Nazioni Unite stabilirono che l’Eritrea sarebbe stata federata all’Etiopia, mantenendo comunque una propria autonomia. L’Eritrea divenne la 14° provincia della monarchia etiopica e questa sistematizzazione provocò la nascita di un forte movimento politico-militare di opposizione. Nel 1952 il politico Tedla Bairu (1914-1984) fu il primo capo di governo dell’Eritrea federata all’Etiopia. Subito il governo di Addis Abeba venne meno ai patti, annullando il sistema federale, fino a trasformare l’Eritrea il 20 maggio 1960 in una provincia amministrativa dell’impero etiopico, definitivamente annessa nel 1962. Nel 1960, in esilio al Cairo fu fondato il FLE (Fronte di Liberazione Eritreo) per combattere l’annessione dell’Etiopia e ottenere l’indipendenza nazionale. La guerriglia iniziò nel 1961 con Hamid Idris Awate (1919-1962), esponente politico di riferimento per la lotta per l’indipendenza del suo Paese, tigrino, figlio di contadini e coraggioso Ascaro. Awate affrontò gli attacchi dell’esercito del Negus, quest’ultimo sostenuto finanziariamente e militarmente dagli Stati Uniti nell’ambito delle numerose proxy wars, le guerre per procura caratterizzanti l’Africa degli anni del bipolarismo. Nel 1973 nacque il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo. Negli anni Settanta scoppiò la guerra civile fra FLE e FPLE. Il FLE dalla sua formazione concentrò la sua base d’appoggio e la sua legittimazione popolare nelle regioni pianeggianti dell’Eritrea, a maggioranza islamica. Il FPLE era composto soprattutto da elementi di lingua tigrina negli altopiani; esso promosse un’ideologia di liberazione nazionale marxista e vinse la guerra. La causa del FPLE ebbe inizialmente l’appoggio diplomatico cubano e sovietico. Il rovescio di alleanze che nel 1978 vide il passaggio del regime socialista etiope entro la sfera sovietica, minacciò per alcuni anni il progetto di liberazione nazionale del FPLE. Grazie agli ingenti quantitativi di armamenti ricevuti dall’Unione Sovietica per far fronte alla minaccia somala, l’Etiopia tra il 1978 e il 1980 attaccò le postazioni del FPLE, riconquistando gran parte della regione ad eccezione di alcune aree nella regione del Sahel. La controffensiva eritrea riprese intorno al 1984, consentendo una graduale riconquista delle posizioni perdute: decisiva fu la collaborazione tra l’FPLE e il TPLF (Fronte di Liberazione Popolare Tigrino), che consentì al FPLE di conquistare Asmara nel 1991 e al TPLF di entrare vittoriosamente a Addis Abeba nello stesso anno.

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Fonte: Atlante Geopolitico Treccani 2015

1.2. Autoritarismo e militarismo

L’Eritrea ha vissuto profonde problematiche a partire dalla sua indipendenza conseguita nel 1991. Il Paese, che ha rischiato di scomparire dalla carta geografica dell’Africa risucchiato dagli Stati contigui, è oggi uno Stato dalla popolazione a maggioranza femminile a causa della guerra trentennale contro l’Etiopia. Dal 2002 le Chiese minori sono state dichiarate fuorilegge. In Eritrea le religioni consentite sono: ortodossa eritrea, cattolica, evangelica luterana della Chiesa di Eritrea e Islam. Fortemente perseguitati sono i Testimoni di Geova e i credenti Bahai. Nei primissimi anni Novanta s’intravedevano i primi segnali della politica anti-religiosa del governo eritreo e nelle chiese ortodosse nel Paese nel 1995-1996 vennero bruciate le loro Bibbie. Solo dal maggio 2002 il governo eritreo ha messo in atto la sua politica anti-religiosa. Oggi, nelle forze armate si operano ancora confische delle Bibbie e le persone sorprese a pregare vengono punite. Dal 2005 la Chiesa ortodossa eritrea è stata particolarmente colpita; il suo Patriarca, Abune Antonios, è agli arresti domiciliari [16]. Tutti i maggiori esponenti clericali delle Chiese ortodosse, così come delle Chiese protestanti, sono in prigione, alcuni dal 2004 [17]. I sacerdoti devono presentarsi per il servizio militare. L’invasione di Gibuti del 2008 ha avuto come Paese mediatore il Qatar che è molto attivo nel Corno d’Africa fino a giungere alla demarcazione dei confini tra Eritrea e Gibuti. Dalla vigilia di Natale del 2009 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha introdotto sanzioni internazionali contro l’Eritrea [18]. L’accusa era di aver inviato soldati in Somalia in aiuto ai gruppi ribelli come gli al-Shabaab e tre aerei pieni di armi attraverso l’aeroporto di Badowa. Anche il Sudan accusa l’Eritrea di sostenere gruppi ribelli ai confini, chiede riscatti e compie abusi su giovani verso il Sinai che detiene per sfruttamento entro i propri confini. Minori vengono trasportati fuori dall’Eritrea illegalmente, il fenomeno di human trafficking è ampiamente in corso. Non vi è alcun meccanismo di protezione dei cittadini ma numerosi trasferimenti di denaro per le vittime. Questi eventi sono i sintomi, non le cause. Gli eritrei attraversano i confini internazionali, scappano a causa del servizio militare nazionale, per la paura di venir presi per sempre. I giovani minatori tra i 12 e i 17 anni scappano attraverso il deserto e arrivano in Italia. Il futuro dell’Eritrea sta scappando perché tutti i giovani in patria sono nell’esercito. Non sono state costruite abitazioni adeguate che nella programmazione urbanistica devono rispettare le leggi internazionali. In realtà sarebbero 5.000 le abitazioni necessarie annualmente. Vi sono più di 3.200 prigionieri eritrei tenuti in 180 campi di concentramento in container di metallo in zone desertiche. In tutta risposta, secondo il rappresentante del governo eritreo il rapporto delle Nazioni Unite è falso, parziale e contradditorio. L’Etiopia continua a occupare la citta eritrea di Badme contro tutti gli accordi internazionali. L’Etiopia gode della protezione politica da parte degli Stati Uniti, secondo il ministro degli affari esteri eritreo i motivi della persistenza delle sanzioni contro l’Eritrea sono quelle indicate.

1.3. I percorsi migratori

Dai 1.200 ai 2.000 dollari in contanti per farsi accompagnare fino al confine con il Sudan [19]. Da qui ha inizio l’orrore. I fattori principali delle migrazioni sono economici, politici e ambientali. Dal 1961 al 1991 la guerra con l’Etiopia ha provocato 300.000 vittime. Dal 1974 al 2002 mentre il numero complessivo dei rifugiati era diminuito, era invece aumentato nella regione del Corno d’Africa. Nel 2013 si contavano circa nove milioni di rifugiati da questa regione [20]. Molti immigrati che giungono in Italia provengono dall’Eritrea e molti sono i minori non accompagnati. Devastante è il fenomeno dei ragazzi di strada, analfabeti, emarginati, spesso affetti da patologie, da malattie mentali, esposti alle mine lasciate dalla guerra. Nel 2013 i bambini non accompagnati arrivati in Italia dall’Eritrea via mare sono stati quasi 700. Nel 2014, al 31 maggio, erano già 1.700. Gli stessi minori hanno dichiarato a Save the Children che nei prossimi mesi ne arriveranno altre migliaia dai campi profughi al confine con l’Etiopia [21].

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Un ostacolo importante, e di conseguenza un fattore che induce i minori eritrei a lasciare soli il proprio Paese, è, come detto, il rischio di essere arruolati nell’esercito. Il primo Paese passato il confine è l’Etiopia. Per riuscire a raggiungere questo Paese devono attraversare due trincee, raggiungono a piedi il Tigrai, zona situata a nord dell’Etiopia contattando i trafficanti di uomini che li guidano oltre il confine. La situazione al confine è descritta dagli stessi ragazzi come molto pericolosa: riferiscono che molti loro compagni sono rimasti uccisi da militari eritrei. Arrivati in Etiopia, i militari etiopi portano i profughi in diversi campi. Quando riescono ad allontanarsi dai campi, per attraversare la frontiera clandestinamente tra Etiopia e Sudan, devono pagare circa 300 dollari e superare un grande fiume che si chiama Tekese. Esistono trafficanti che fanno attraversare il fiume ai profughi, a piedi, mediante l’utilizzo di animali come cammelli e mucche. In Sudan il percorso è ancora più rischioso per la presenza dei Rashaida, tribù nomadi che si arricchiscono sequestrando e chiedendo ai parenti dei profughi all’estero ingenti riscatti – fino a 20.000 dollari – per rilasciare i migranti [22].

Durante la prigionia subiscono torture e violenze, incluse le scariche elettriche. Attraversato il Sudan arrivano in Libia, da soli o ceduti dai trafficanti sudanesi a quelli libici. Trascorrono mesi in carcere da cui possono essere liberati solo in seguito a un pagamento o andando a lavorare in condizioni di schiavitù. Quando riescono a fuggire devono affrontare il mare per arrivare in Europa, rischiando, ancora una volta la propria vita. In altri casi sono detenuti dai trafficanti in luoghi isolati, per mesi, in gruppi di anche 40 persone in un’unica stanza. Rimangono in attesa di partire per un viaggio organizzato dai trafficanti stessi con imbarcazioni danneggiate e pericolose.

Così sbarcano in Italia, spesso considerato solo un Paese di passaggio, per arrivare in altri paesi europei dove hanno parenti o dove vedono la possibilità di costruirsi un futuro migliore. Per uscire dall’Eritrea e arrivare in Sudan si devono pagare fino a cinquemila dollari ai trafficanti, che spesso sono agenti del governo. In Sudan la maggior parte dei profughi si trova nel campo di Shagarab gestito dall’UNHCR. Da qui si aprono varie strade, tutte ugualmente segnate dalla violenza e dall’assenza più completa di dignità umana. A centinaia sono stati rapiti nei campi in Sudan da bande di beduini, i Rashaida, per essere portati nella regione egiziana del Sinai. Qui subiscono torture e violenze di ogni genere per ottenere riscatti dai loro parenti. Un rapporto di Amnesty International parla di persone stuprate a più riprese, picchiate con le catene, ustionate con plastica e metalli incandescenti, colpite con scariche elettriche, tenute appese al soffitto, cosparse di gasolio e poi arse vive. Le richieste di riscatto ai familiari arrivano fino a 50.000 dollari a testa e vengono raccolte dai trafficanti grazie ad una fitta rete di collaboratori in tutti gli Stati del mondo, che si occupano di far transitare i flussi di denaro attraverso conti correnti esteri e articolati sistemi di money transfer [23]. Lo Shagarab Refugee Camp è l’unico grande campo gestito dall’UNHCR in Sudan dove le tende in cui sono alloggiati in media 15 rifugiati non hanno finestre in un territorio desertico con temperature elevatissime e scarsità d’acqua e di riparo. Per quelli che riescono a lasciare l’Egitto, il viaggio continua, attraverso il deserto, nelle mani di altri trafficanti, libici, per essere poi finalmente imbarcati a caro prezzo sui barconi. Oltre ai predoni del Sinai, alla rete di criminali e ai movimenti del terrore, molti eritrei, etiopi e sudanesi, persino con lo status di rifugiati, fanno ormai parte della rete criminale estesa ovunque e collabora con le grandi mafie internazionali. La condizione degli eritrei oppositori del regime e residenti in Italia come rifugiati politici é spesso composta da persone divise da una cultura di stampo militare che educa all’individualismo e al sospetto, azzerando il senso di comunità e di solidarietà. Attualmente, in Eritrea vige la politica di “sparare per uccidere”, contro chiunque tenti di attraversare il confine di stato. Il servizio militare obbligatorio può essere esteso indefinitamente ed è seguito da doveri di riservista cui sono chiamati tutti gli uomini e le donne con più di 18 anni. La sua durata iniziale è di 18 mesi e comprende 6 mesi di servizio militare e 12 d’impiego in ruoli di servizio militare o amministrativo. I coscritti svolgono lavori edili o sono impiegati in progetti come la costruzione di strade, impieghi amministrativi o in lavori per società di proprietà e conduzione militare o guidate dal partito al governo. Gli arruolati sono pagati con un salario minimo che non basta per le famiglie. Le sanzioni riservate ai disertori e ai renitenti alla leva sono durissime, comprendono torture e detenzioni senza processo. Non sorprende che le spese militari rappresentino una delle cause principali del declino economico nel Paese. Nel 2011 tutto il Corno d’Africa è stato colpito dalla più grave carestia degli ultimi cinquant’anni, e gli scenari delle migrazioni hanno sviluppato nuove dinamiche nel Mediterraneo e in Medio Oriente che mostrano oggi tutte le loro fragilità. Il ruolo dell’Italia è quello del Paese più importante – top list – dal punto di vista strategico per la sua contiguità geografico-culturale. Per questo urgerebbero una stabilità interna oggi più che mai importante, e una visione concretamente unitaria da parte dell’Unione Europea. I livelli medi di scolarizzazione dell’Eritrea e il ruolo dell’attuale governo sono nettamente inferiori alle regioni dell’Africa mediterranea. Il ruolo storico-politico dell’esercito, e i differenti ruoli degli eserciti nei paesi dell’Africa sub-sahariana sono temi forti. La corruzione è ancora molto elevata e pone l’attuale Presidente dell’Eritrea in una posizione di relativo controllo sulla popolazione, privata di elezioni politiche. Quattordici compagnie minerarie internazionali operano in Eritrea soprattutto per l’estrazione dell’oro e i proventi per l’Eritrea sono sotto sanzioni. I prestiti cinesi erogati dal 2010 ammontano a 60 milioni di di dollari per attività minerarie, oltre a 6 milioni per programmi di sicurezza alimentare. L’Unione Europea e la Banca africana di sviluppo hanno al momento congelato i prestiti per l’istruzione a fronte dell’assenza di progressi sul piano del rispetto dei diritti umani.

L’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata ha dichiarato il 1° ottobre 2015: «… L’Italia non ha mai avuto una legge sull’asilo; il Parlamento non approvò quella presentata da me come ministro poco dopo la legge sull’immigrazione (varata nel marzo 1998). C’è stata solo un’incorporazione nel nostro sistema normativo di regole europee. Ci tocca così gestire alla meglio la pressione di decine di migliaia di uomini, donne, bambini. Per il momento dobbiamo gestire da soli i nuovi immigrati in arrivo dal Nord Africa, che poi sono in parte immigrati clandestini per lavoro e in parte richiedenti asilo (aventi titolo o no per ottenerlo). Continua a mancare una vera politica comune europea dell’immigrazione e dell’asilo …» [24].

* Beatrice Nicolini, membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) – BloGlobal, è Docente di Storia e Istituzioni dell’Africa e di Storia delle Relazioni Internazionali, delle Società e delle Istituzioni Extraeuropee (Università Cattolica Sacro Cuore, Milano). Field Editor per E. Mellen Press, New York, USA. Vincitrice del Premio della Society for Arabian Studies di Londra per il volume Makran, Oman and Zanzibar. [vedi profilo]

[1]  http://www.tesfanews.net/eritrea-two-army-generals-killed-in-tragic-car-accident/.

[2] Sei regioni: (zobatat, singolare zoba); Anseba, Debub (sud), Debubawi K’eyih Bahri (Mar Rosso meridionale), Gash Barka, Ma’akel (centrale), Semenawi Keyih Bahri (Mar Rosso settentrionale).

[3] Raramente questi numeri sono tutti composti da eritrei, spesso sono etiopi o sudanesi che dichiarano di essere eritrei per ottenere lo status di rifugiati. https://www.facebook.com/202398666634938/videos/406672479540888/?fref=nf

[4] ኤርትራ

[5] https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/er.html

[6] G. Ghedini, La medicina da campo nella Guerra di liberazione in Eritrea (1961-1991), in B. Nicolini, I. Taddia, Il Corno d’Africa: tra medicina, politica e storia, Novalogos, Roma, 2011.

[7] http://www.moibrahimfoundation.org/iiag/data-portal/

[8] S. Marchetti, Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale, Ediesse, Roma, 2011, 22.

[9] P.B. Henze, Yohannes IV and Menelik II: The Empire Restored, Expanded, and Defended, in Layers of Time: A History of Ethiopia, New York, Palgrave, 2000.

[10] F. Guazzini, Le ragioni di un confine coloniale: Eritrea, 1898-1908, Torino, L’Harmattan Italia, 1999.

[11] I. Rosoni, La colonia eritrea: la prima amministrazione coloniale: 1880-1912, EUM, Macerata, 2006.

[12] (2 maggio 1889). Trattato di pace sottoscritto in Etiopia dal plenipotenziario italiano, conte Pietro Antonelli, e dal Negus Menelik II a conclusione del conflitto fra Italia e Etiopia, culminato nella sconfitta italiana di Dogali del 1887. Esso riconosceva la sovranità italiana sull’Eritrea ma, secondo il governo Crispi, affidava all’Italia anche il controllo delle relazioni internazionali dell’Etiopia, limitandone così la sovranità. Questo era il senso del testo in lingua italiana, difforme dalla versione amharica che ne contemplava solo la possibilità e non già l’obbligo. Il grave dissidio su questo punto inquinò i rapporti fra i due paesi fino alla guerra del 1895-1896, terminata con la disastrosa sconfitta italiana di Adua. http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/u/u000.htm

[13] Reato che consisteva nella relazione d’indole coniugale del cittadino italiano con sudditi dell’Africa Italiana. Era punito con la reclusione da 1 a 5 anni (r.d. 880/1937). Per arginare il fenomeno e limitarne gli effetti, a soli due mesi dalla proclamazione dell’impero, il ministro Lessona in una disposizione a Graziani (in data 5 agosto 1936), insistette sulla necessità di imporre a tutti gli ammogliati di portare le famiglie in colonia appena le condizioni di ambiente lo permettessero. “Gli incroci delle due razze, bianca e nera, non sono desiderabili poiché danno origine ai meticci, che sono dei degenerati e portano sommati i difetti e non i pregi delle due razze”: così parlò al nunzio Borgoncini Duca il ministro dell’Africa italiana Alessandro Lessona, a spiegazione del decreto da lui stesso firmato il 19 aprile 1937 che vietò il concubinato tra bianchi e neri nelle colonie. http://www.luigiaccattoli.it/blog/2009/11/06/“meticci-degenerati”-decreto-il-fascismo-ma-il-colorito-ci-guadagna/

[14] Ual-Ual, oasi nella regione dell’Ogaden sul confine tra Etiopia e Somalia. Presidiata in epoca coloniale dagli italiani, che avevano occupato la Somalia, fu oggetto di una serie di dispute di confine relative al possesso della zona, rivendicato sia dagli italiani sia dagli etiopici, che il 5 dicembre 1934 degenerarono in uno scontro armato. Il governo di Addis Abeba sottopose il contenzioso con l’Italia all’arbitrato della Società delle Nazioni, che si pronunciò con una sentenza di reciproca assoluzione nel settembre 1935, quando ormai l’occupazione militare italiana dell’oasi era divenuta un fatto compiuto.  L’incidente di Ual-Ual fornì il casus belli all’Italia fascista per lanciare l’aggressione all’Etiopia. Dizionario di Storia Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/ual-ual_(Dizionario_di_Storia)/

[15] http://alfazulu.altervista.org/articoli/cheren_8.htm

[16]http://www.uscirf.gov/news-room/press-releases/uscirf-calls-release-eritrean-orthodox-patriarch-abune-antonios

[17] http://www.zenit.org/it/articles/contro-ogni-fede-le-persecuzioni-religiose-in-eritrea

[18] Risoluzione N. 2023.

[19] N. Hirt, A.S. Muhammad, Dreams don’t come true in Eritrea’: anomie and family disintegration due to the structural militarisation of society, “Journal of Modern African Studies”, 2013, 51/1, 139-168.

[20] A. Bariagaber, Conflict and the refugee experience: flight, exile, and repatriation in the Horn of Africa, Ashgate Publishing, Ltd., 2013, 37; grazie a A. Tagliani, Università Cattolica, Milano.

[21] http://blog.savethechildren.it/limmigrazione-dall-eritrea-9-cose-sapere/#sthash.0EhSQ97a.dpuf

[22] I Raishada che si definiscono arabi ricattano tramite un’ampia rete criminale le famiglie dei profughi residenti all’estero. http://asmarino.com/articles/958-eritrea-bedouin-rashaida-the-human-traffickers-in-north-east-africa

[23] G. Musumeci, A. Di Nicola, Confessioni di un trafficante di uomini, Chiarelettere, 2014.

[24] http://www.analisidifesa.it/2015/10/immigrazione-nessuna-emergenza/

Photo credits: Madote.com

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