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Mi sono detto: “ bisogna mettere un freno a quell’ uomo e contenerlo prima che si faccia e ci faccia del male. Non può postare così tanti ascolti veloci senza che ci dia il tempo di riflettere su quanto proposto. Non deve e non può diventare il suo Blog l’opposto di quanto da sempre è la sua filosofia di vita. La lentezza. Il passo felpato, la poltroneria così tipicamente meridionale. Detto da me può suonare strano, ma tant’è! Obbligato i miei due figli a non disturbarmi, mi sono armato di carta e penna, ma ad essere onesto ho semplicemente acceso il pc , impostato un foglio word, rispolverato alcuni tra gli ascolti del periodo e lasciato andare con la mente ma anche ponderato quanto volevo esprimere con la ragione. Se l’ascolto è preceduto da eccessivo pregiudizio, perdi buona parte del suo sapore della sua essenza. Ascolti, valuti secondo le regole, giudichi e nel giudicare sottovaluti, ridimensioni, tralasci. E in seguito ti accorgi di quanti mondi esistono. Realizzi e ti rendi consapevole che non uno ma tanti sono i modi di approcciarsi alla musica folk. Ciononostante ti coglie alla sprovvista pensare al folk quello dei padri, quello di chitarre e banjo, di fisarmoniche e violini, quello di Dylan e quello di Baez, con tutto quello che poi nel folk hanno introdotto i Led Zeppelin e via via discorrendo fino agli attualissimi Decemberists .(che pure mantengono quasi inalterato il valore del folk). Che poi tutto quello che conoscevamo sul folk potesse essere stravolto da renderlo impercettibile nella sua matrice originaria non ce lo aspettavamo. Nondimeno l’ascolto di questi dischi, freschi freschi come un uovo a due tuorli , ognuno con il suo nucleo che genera nuova vita, ci rende le cose facili. Uno a pensarci, si spettina i capelli a furia di carpire dove nelle note, nelle melodie e nelle liriche, quanto ascoltiamo abbia a che fare col folk, che poi altro non vuol dire che musica del popolo. Il primo viaggio è a nome da Erland e i suoi Carnival che con Nightingale si scosta da quel modo di concepire il folk. L’esordio aveva lasciato appagata l’audience più classica e conservatrice con quel loro modo irriverente di prendere brandelli di folk e intingerlo in misture psich e beat. Ora in questo nuovo e perentorio lavoro giunto, appunto, dopo meno di un anno, ci propongono in veste ancor più innovativa, le evoluzioni che a loro dire passano dal folk, e imbibito di umori più scuri e di una buona dose di elettronica, virano verso una psichedelica non più onirica ma offuscata e nostalgica alla Doors e che pesca a piene mani da quella cultura musicale molto londinese. Si lo so ce ne passa di acqua sotto i ponti prima di idolatrarli ma il primo fugace ascolto ha confermato la regola che il secondo disco non smentisce mai le attese e lascia, seppure disorientando, una sensazione affascinante. Veniamo al secondo ascolto che vi lascio da gustare come si diceva, con lentezza. Ebbene, qui siamo di fronte ad un modo meno depurato, raffinato e distillato di concepire il folk. Quello che più conosciamo, quello fatto da strumenti semplici, popolari e proletari. Molto vicini a quell’universo che altrettanto elegantemente è stato esplorato da Mumford&sons.E parliamo nientepopodimenoche dei Fleet Floxes. Helplessness Blues, la cui delicatezza rapisce, cattura e travolge, è una ulteriore conferma che tanti sono i modi di concepire il folk . Compiono una seria virata verso atmosfere meno attraenti che nel primo disco, con innesti più oscuri, cupi e che non lasciano l’anima indifferente. La sua essenza sta nelle semplicità, in quella sua vena poetica, quasi naif. Immersa in un mondo onirico al confine tra i Sigur Ros e Barzin ma che non disdegna un folk rock alla Led Zeppelin o alla Jethro Tull. Pensavo fino a questo punto dell’anno di potermi ritenere soddisfatto già con i dischi fino ad ora ascoltati Radiohead, PJ Harvey, Anna Calvi, The Sad Band per citarne alcuni. Di certo il loro disco un papabile per la top list di fine anno. Degni titolari dello scettro di un nuovo modo di concepire il folk. Con i Fleet Floxes e con Erland and the Carnival tutto si capovolge e si scompaginano gli ascolti. Sarà come dice il caro Gianni, che i dischi sopraccitati non solcano l’animo più di tanto ma nemmeno lasciano indifferenti. Una considerazione va di certo fatta. Tra le tante divagazioni a titolo folk queste di cui sopra sferrano un serio attacco alla monotonia che affligge i tanti gruppi che di questo marchio si fregiano. Ed è così che in un momento di riflessione assapori questi mondi policromi, il battito rallenta, il respiro diventa regolare e pacato; ti senti ritemprato e pronto a ripartire. Di certo c’è che una pausa ogni tanto ci vuole e tu più di tutti Gianni, tra numeri e musica ogni tanto inserisci pause!!!Buon ascolto.Giamp
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