Intervista a Paolo Ponti a cura di Antonino Leone in corso di pubblicazione su Sistemi e Impresa settembre 2012
Dietro il successo di un’impresa
vi è quasi sempre la storia, i sacrifici e la visione innovativa delle persone
che hanno saputo immaginare e costruire il futuro.
I momenti più difficili di
un’impresa familiare sono il passaggio generazionale in quanto i successori
devono farsi carico del patrimonio di conoscenze che l’impresa rappresenta e
coniugarlo alla domanda ed alle esigenze del mercato.
In Ermes Ponti il passaggio
generazionale, da Walter a Paolo Ponti, è avvenuto in un continuo, superando
gli ostacoli ed i problemi che senz’altro si sono presentati.
L’avventura della famiglia Ponti
inizia nel 1937 quando Walter apre, insieme ad un fratello, un laboratorio di
falegnameria.
Più tardi Walter
continua ad impegnarsi nel settore con un proprio laboratorio ed investe
nell’acquisto di macchinari. L’azienda si consolida e produce
mobili che “avevano un certo stile e gusto moderno che li
differenziava dall’offerta allora disponibile”.
Nel 1957 avviene una grande innovazione: “Walter fu
contattato da un rappresentante di poliestere, allora utilizzato per
impermeabilizzare auto e barche. Secondo il rappresentante se appositamente
modificato, poteva essere utilizzato anche per i mobili. Seguirono alcuni mesi di
sperimentazione, durante i quali Walter ne migliorò l’affidabilità,
trasformandolo prima in vernice e poi in prodotto industriale”.
L’azienda presentò tale prodotto innovativo alla Fiera
Campionaria di Milano e venne conosciuta anche fuori dell’ambito territoriale
di Mantova.
Alla fine degli anni ’60 Ermes succede al padre Walter e
realizza una produttiva collaborazione con
Gio Ponti, famoso designer e architetto milanese, che consente
di introdurre nell’impresa“l’importanza
del progetto, del design, dell’innovazione non solo nel fare, ma anche nel
pensare il prodotto”.
Si arriva
così a Paolo Ponti, architetto, che decide di impegnarsi nell’azienda di
famiglia. Da questo momento in poi nell’azienda vengono introdotte le best practice
manageriali.
Paolo Ponti,
come qualsiasi azienda di successo, ha dovuto ridisegnare i fattori essenziali
dell’organizzazione dell’impresa: adattamento continuo all’incessante cambiamento del
pianeta; leadership cooperativa; organizzazione snella e veloce; strategia con
obiettivi chiari e tempi certi; metodo di lavoro e processi di produzione di
qualità;l’uso delle energie e delle
risorse in direzione del cambiamento e non della difesa dello status quo.
Per capirne
di più ne parliamo direttamente con l’architetto Paolo Ponti.
Quali sono state le motivazioni che l’hanno indotta ad
entrare nell’azienda di famiglia e le condizioni che eventualmente ha posto per
effettuare tale scelta?
La
motivazione principale è stata la responsabilità che ho sentito nei confronti
della gente che lavorava in azienda; una trentina di famiglie, quasi tutte del
territorio, da San Biagio a San Benedetto Po, nella bassa mantovana; ci sono
dei maestri falegnami che lavorano qui da quando avevano quattordici anni;
molti vengono a lavorare in bici, abitano qui in paese, sono famiglie
monoreddito.
Sono
artigiani molto bravi che hanno ancora dieci quindici anni di lavoro e possono
formare una nuova generazione di falegnami -come li intendo io- “falegnami
evoluti”; una figura che sa coniugare la migliore tradizione artigianale
italiana con le tecnologie d’avanguardia in questo settore.
Quale era la sua visione iniziale da introdurre nell’azienda?
La mia
visione è quella della grande famiglia o della piccola cellula sociale; un
micro mondo felice dove le persone lavorano per crescere; non solo per portare
a casa lo stipendio o andare in pensione prima possibile, ma per realizzarsi
professionalmente e relazionarsi umanamente in modo positivo. In questo senso
ho pensato alla figura del “falegname evoluto”, non più come operaio con un
ruolo puramente esecutivo, ma come artigiano consapevole e responsabile della
qualità eccellente del suo lavoro,che
partecipa della progettazione esecutiva degli arredi che costruisce e poi va ad
installare nelle città di tutto il mondo.
Quali cambiamenti ha introdotto nell’azienda?
Fin dal mio
primo ingresso in azienda ho cercato di creare un’organizzazione del lavoro
flessibile che ci consentisse di essere più performanti rispetto alle richieste
del mercato.
Per ottenere
questo risultato ho cercato di unificare il processo progettuale e quello
produttivo, massimizzando la qualità del progetto e del prodotto e minimizzando
i tempi e i relativi costi; i risultati in questi ultimi anni sono stati
davvero incoraggianti; per i nostri clienti ancor più che per noi: questo è il
motivo della evidente fidelizzazione della nostra clientela che si evince anche
semplicemente leggendo le referenze degli ultimi anni.
Considerata la crisi economica che mette in evidenza i
problemi di sopravvivenza delle imprese, la sua impresa quali fattori utilizza per
superaretali
difficoltà?
La crisi
attuale è stata per noi quasi una benedizione; è la crisi che ci ha fatto
cambiare, cercare nuovi esigenti clienti, e gli strumenti progettuali,
organizzativi e produttivi per soddisfare le loro esigenze.
Più che a
una crisi passeggera credo che ci troviamo di fronte ad un cambiamento epocale;
nel nostro piccolo noi cerchiamo tutti i giorni di offrire un servizio-prodotto
di qualità eccellente ad un prezzo competitivo.
Ci ispiriamo
ogni giorno agli studi che abbiamo fatto del rinascimento italiano e ai metodi
straordinari con i quali funzionavano le nostre botteghe rinascimentali;
l’amore per il proprio lavoro portato all’eccellenza fino a far sconfinare l’artigianalità
in arte questo dobbiamo riscoprire come sostengono da anni quelli
dell’associazione The Renaissance Link, alla quale abbiamo aderito un anno e
mezzo fa per la straordinaria affinità che ci lega ai punti fondamentali del
loro manifesto; consiglio a tutti di leggerli nel sito e nei saggi introduttivi
ai libri che hanno prodotto raccogliendo 20 positive esperienze di aziende
italiane oggi, tra le qualianche la
nostra.
Come viene attuata la ricerca e l’innovazionedi prodotto nella sua impresa al fine di
mantenere un livello di competitività accettabile?
Noi
progettiamo e produciamo tutti i giorni commesse custom-made; ogni progetto è
una ricerca e ogni realizzazione è un’innovazione in qualche suo aspetto: non
esiste soluzione di continuità tra progetto, prodotto e ricerca.
Spesso la
competitività è una delle “condizioni al contorno” da rispettare per risolvere
l’equazione di uno specifico progetto.
Quali sono le competenze distintive della sua impresa
molto apprezzate dal mercato?
La
competenza che ci distingue sul mercato è l’unificazione delle competenze
progettuali e architettoniche e di quelle esecutivo-produttive con una gestione
del cantiere totalmente integrata. Abbiamo unito teoria e pratica, come diceva
il Vasari. Un unico referente, competente e responsabile di tutto.
La
dispendiosità del nostro sistema contract tradizionale sta oggi proprio nella
separazione netta tra competenze progettuali e competenze pratiche; questo crea
dei “mostri” di inefficienzache il
mercato - fortunatamente- fa sempre più
fatica ad accettare e, dispendiosamente,
finanziare.
Che tipo di leadership esercita nell’impresa e quali sono
i rapporti con il personale per conseguire gli obiettivi programmati ed un
prodotto di qualità?
Io non mi
sento un leader, ma un padre di famiglia; i rapporti con la mia gente sono
rapporti di lunghissima data costruiti con una lunga esperienza lavorativa
fianco a fianco; a otto anni, dopo la scuola, andavo a lavorare in bottega e
ancora oggi, in installazione, mi tolgo la giacca e lavoro con loro.
Sono io che
decido in azienda ma li ascolto tutti, uno per uno; idee, obiettivi, problemi.
Un giorno
qualcuno mi disse che un vero imprenditore sa ascoltare tutti e decidere,
responsabilmente,da solo.
Considerato che la sua impresa compete a livello
internazionale, le chiedo cosa pensa della globalizzazione e quali sono i
fattori che utilizza nella competizione globale?
Come dicevo
condivido sinceramente l’ottimismo realistico con il quale tanti studiosi –
primo fra tutti Francesco Morace che ha un blog su nova 24-vedono il futuro del Made in Italy.
Nonostante
gli sprechi e la cattiva gestione endemica dei nostri governi, in Italia
abbiamo un patrimonio culturale, ambientale, industriale invidiabile che se
fosse meglio gestito o meno ostacolato, ci potrebbe far diventare in poco tempo
leader mondiali in tanti campi…
I motivi che
hanno reso possibile l’internazionalizzazione della ermesponti, come di molte
altre piccole grandi aziende del Made in Italy, sono essenzialmente due;
l’eccellenza della qualità prodotto/servizio offerto e la competitività del
relativo costo, comparato con quello prodotti più scadenti.
Credo che la
globalizzazione sia una sfida da vincere con le armi delle nostre piccole
grandi imprese affilate dalla nostra millenaria cultura, dal nostro innato
senso del bello e del benfatto, dal nostro inestimabile know-how produttivo sia
artigianale che industriale.
Ovunque nel
mondo i clienti chiedono la stessa cosa: la qualità più alta ad un prezzo
competitivo.
Credo che
questo amore per l’eccellenza ad un prezzo adeguato e contenuto sia la strada
dell’italian way; non tutti potremo comprare una Ferrari, ma un Illy caffè…