Agli uomini liberi si distruggono non solo i corpi con il tritolo ma anche i simboli. E nella distruzione dei simboli la mafia è una vera e propria maestra, da sempre. Palermo 2010. La città decide di ricordare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino compiendo un gesto dall’altissimo valore simbolico. Incarica lo scultore Tommaso Domina di realizzare due statue dei giudici uccisi e non le colloca nei luoghi “istituzionali” ma su una panchina a quattro passi da piazza Politeama. A farne comprendere il significato non frasi “storiche”, ma quanto di più semplice e “popolare” possa rappresentare la vita di due servitori dello Stato che allo Stato hanno dato tutto: “Giovanni e Paolo, due uomini liberi con le loro idee, nel sole, nell’allegria, nell’amicizia, fra la loro gente”. Sono gli stessi a cui l’Amministrazione fece pagare gli extra del "soggiorno" nel carcere all’Asinara quando stavano lavorando agli atti del maxi-processo, e che a un certo punto lo stesso Stato decise di offrire come merce di scambio alla mafia stragista e intrisa di sangue dei corleonesi. Tutto quello che accadde nel 1992 sta per essere rimesso in discussione; troppi i punti interrogativi, troppi i lati oscuri, troppe le dichiarazioni di pentiti “imboccati” e atti dei servizi segreti rimasti senza risposta. Forse stavolta ci siamo sul serio, grazie all’opera di altri giudici, di altri investigatori e di un movimento di massa alla cui testa c'è Salvatore Borsellino e il popolo delle “agende rosse” al quale, fieramente, apparteniamo. E la domanda non è solo quella “Dov’è finita l’agenda rossa di Paolo Borsellino?” ma soprattutto: “Che ruolo ha avuto lo Stato nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio?”. Per il momento l’unica risposta certa è stata quella della mafia: puntuale, inequivocabile, incisiva, simbolica: la distruzione delle statue di Falcone e Borsellino appena sistemate fra la gente. Il messaggio? “Noi ci siamo ancora, altro che arresti, avete preso solo chi vi abbiamo consegnato. La “cupola” è al suo posto e guai a voi”. Le due statue di gesso, manco di bronzo, sono state divelte dalla panchina e gettate in mezzo alla strada, una terza morte dopo quella reale e i depistaggi di magistrati, politici e servizi segreti incaricati di tutelare la nascita della “seconda repubblica” e di eliminarne i potenziali avversari. Così mentre un senatore condannato a sette anni per mafia si permette di continuare a definire “eroe” Mangano, agli eroi veri tocca di morire ancora una volta in mezzo alla strada, quasi a voler significare l’eternità del rapporto di Falcone e Borsellino con la loro gente. Domani, per commemorare i due giudici, sarà a Palermo Gianfranco Fini. Al presidente della Camera vorremmo sommessamente chiedere come fa a militare ancora in un partito coordinato da Denis Verdini e condizionato pesantemente da Marcello Dell’Utri. È solo una domanda. Sarebbe gradita una risposta.
Magazine Società
Eroi senza pace. La mafia distrugge anche i simboli.
Creato il 18 luglio 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Agli uomini liberi si distruggono non solo i corpi con il tritolo ma anche i simboli. E nella distruzione dei simboli la mafia è una vera e propria maestra, da sempre. Palermo 2010. La città decide di ricordare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino compiendo un gesto dall’altissimo valore simbolico. Incarica lo scultore Tommaso Domina di realizzare due statue dei giudici uccisi e non le colloca nei luoghi “istituzionali” ma su una panchina a quattro passi da piazza Politeama. A farne comprendere il significato non frasi “storiche”, ma quanto di più semplice e “popolare” possa rappresentare la vita di due servitori dello Stato che allo Stato hanno dato tutto: “Giovanni e Paolo, due uomini liberi con le loro idee, nel sole, nell’allegria, nell’amicizia, fra la loro gente”. Sono gli stessi a cui l’Amministrazione fece pagare gli extra del "soggiorno" nel carcere all’Asinara quando stavano lavorando agli atti del maxi-processo, e che a un certo punto lo stesso Stato decise di offrire come merce di scambio alla mafia stragista e intrisa di sangue dei corleonesi. Tutto quello che accadde nel 1992 sta per essere rimesso in discussione; troppi i punti interrogativi, troppi i lati oscuri, troppe le dichiarazioni di pentiti “imboccati” e atti dei servizi segreti rimasti senza risposta. Forse stavolta ci siamo sul serio, grazie all’opera di altri giudici, di altri investigatori e di un movimento di massa alla cui testa c'è Salvatore Borsellino e il popolo delle “agende rosse” al quale, fieramente, apparteniamo. E la domanda non è solo quella “Dov’è finita l’agenda rossa di Paolo Borsellino?” ma soprattutto: “Che ruolo ha avuto lo Stato nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio?”. Per il momento l’unica risposta certa è stata quella della mafia: puntuale, inequivocabile, incisiva, simbolica: la distruzione delle statue di Falcone e Borsellino appena sistemate fra la gente. Il messaggio? “Noi ci siamo ancora, altro che arresti, avete preso solo chi vi abbiamo consegnato. La “cupola” è al suo posto e guai a voi”. Le due statue di gesso, manco di bronzo, sono state divelte dalla panchina e gettate in mezzo alla strada, una terza morte dopo quella reale e i depistaggi di magistrati, politici e servizi segreti incaricati di tutelare la nascita della “seconda repubblica” e di eliminarne i potenziali avversari. Così mentre un senatore condannato a sette anni per mafia si permette di continuare a definire “eroe” Mangano, agli eroi veri tocca di morire ancora una volta in mezzo alla strada, quasi a voler significare l’eternità del rapporto di Falcone e Borsellino con la loro gente. Domani, per commemorare i due giudici, sarà a Palermo Gianfranco Fini. Al presidente della Camera vorremmo sommessamente chiedere come fa a militare ancora in un partito coordinato da Denis Verdini e condizionato pesantemente da Marcello Dell’Utri. È solo una domanda. Sarebbe gradita una risposta.
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