Diciotto mesi di ricerche tra la lettura delle varie biografie su Pablo Escobar e i viaggi in Colombia, un cast internazionale (Benicio Del Toro e Josh Hutcherson) e una storia realmente accaduta. Da qui parte l’esordio alla regia di Andrea Di Stefano, Escobar: Paradise Lost, che dopo Toronto approda al Festival Internazionale del Film di Roma. Il film racconta la lenta discesa agli inferi di Nick, ragazzo canadese che commette un unico grande errore: innamorarsi della nipote del più noto e sanguinario trafficante di droga. L’ingresso in una famiglia di Padri e Padrini sarà solo l’inizio di un viaggio in un mondo che non gli appartiene, una giungla dalla quale non rimane che fuggire.
Il film si ispira ad una storia vera. Ce la racconta?
Andrea Di Stefano: Il punto di partenza del film è un fatto realmente accaduto. Cominciai a interessarmene quando me ne parlò un amico che aveva avuto modo di conoscere Pablo Escobar: pensava di essere diventato suo amico fino a quando un bel giorno Escobar non provò ad ucciderlo. Mi colpì il fatto che non seguisse le regole o i codici propri dei criminali, come ad esempio non far mai fuori una persona a te vicina. L’Escobar di “Paradise Lost” ha i tratti del personaggio mitologico, volevo fare un film su di lui e su un’anima pura, che arriva a conoscerlo e inizia poi la sua discesa agli inferi. E’ una storia che ha il sapore della tragedia greca, una discesa agli inferi di un ragazzo qualunque che incontra una specie di semi Dio.
Prima Che Guevera, ora Escobar. Sceglierebbe mai un ruolo comico?
Benicio Del Toro: Mi piace ridere, e anche in questo film non mancano scene in cui ho esplorato l’aspetto più comico del personaggio.
E perché alla fine sceglie sempre questi ruoli da cattivo?
Benicio Del Toro: Perché in fondo sono un cattivo!
Che ruolo ha avuto la documentazione nel suo approccio al personaggio?
Benicio Del Toro: La ricerca è senz’altro un aspetto importante del mio lavoro. La differenza rispetto al film su Che Guevara è che in questo caso lo spettatore vede il personaggio attraverso gli occhi di Nick, quindi l’impostazione è diversa. Io e Andrea abbiamo parlato tanto della verità di Escobar, di quale fosse la sua verità. Credo che Nick sia un microcosmo, lo specchio attraverso il quale vedere il danno che Escobar può aver arrecato a tantissime persone; anche se nello stesso tempo ne aiutava tante altre. Abbiamo cercato di capire cosa Escobar abbia fatto alla Colombia, che in sostanza è la stessa cosa che fa a Nick. Adesso so molte più cose di quanto non ne sapessi prima di iniziare la ricerca per questo film.
Chi è il Pablo Escobar di questo film? Che idea si è fatto?
Benicio Del Toro Escobar è una contraddizione in sé, una triste storia, uno spreco di talento. Il film non è certo un documentario sulla sua vita: Pablo ha causato grande dolore al popolo colombiano e alla sua famiglia ma allo stesso tempo ha aiutato dei bisognosi, quindi molti lo adorano come fosse un eroe nazionale e certo, non puoi criticarle se ti metti nei loro panni; Pablo ha dato loro case, ospedali e cibo. C’è questa contraddizione insita nella sua figura, ed eravamo assolutamente consapevoli di rappresentare un personaggio complesso.
E la scena in cui Escobar canta Modugno? Di chi è stata l’idea?
Benicio Del Toro: L’idea di farmi cantare fu di Andrea, ho dovuto lavorare sodo e se dovessi farlo per ogni canzone che canto non arriverei mai ad incidere un disco. Escobar cantava molto, ma io non sono come lui, mi piace la musica e mi piace ascoltarla, ma cantare non fa per me. Io non sono Lucio Battisti.
Cosa c’è nel suo futuro?
Benicio Del Toro: Spero che mi richiamino a interpretare lo stesso personaggio de “I guardiani della galassia”.
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net