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Parlare male di qualcosa che non si conosce però non mi pareva corretto, e per onestà intellettuale (e sì, un po' anche per curiosità) ho deciso di intraprendere la poco impegnativa lettura di una delle sue opere. Mi sono fatta prestare Un posto nel mondo.
La prima cosa che salta agli occhi aprendo il libro è il testo in carattere 16, mutuato direttamente da un sussidiario di prima elementare, così come lo stile di scrittura.
Ecco la storia per sommi capi (con spoiler totale, lo dico per chi non volesse rovinarsi la sorpresa): Michele è amico di Federico. Federico è stanco della routine e si trasferisce a Capo Verde, dove si mette con Sophie. Michele sta con Francesca, poi non ci sta più. Federico torna a trovare gli amici in Italia, poi muore. Michele sta male, va a Capo Verde, conosce Sophie, Sophie è incinta di Federico, nasce Angelica, Michele torna in Italia. Michele si rimette con Francesca e hanno una bambina di nome Alice. Fine.
Fabio Volo piace perché parla come la gente normale, e questo è indubbiamente vero. Anche troppo vero. Quando scrivi un libro non dovresti buttarci dentro proprio tutto quello che diresti in una chiacchierata con un tuo amico, tipo che non riesci a cagare a casa di una ragazza che conosci da poco perché hai paura che entrando in bagno dopo di te lei senta la puzza. Questo della cacca pare essere un tema caro a Fabio, perché lo affronta più volte nel corso del romanzo, e non mi è ben chiaro perché.
Una critica abbastanza comune su Volo è che scriva ovvietà. In effetti le scrive, ma sarebbe più corretto dire che scrive le più becere ovvietà, quelle dell'uomo medio che cerca di portarsi a letto tutte le ragazze del suo giro, che poi ne parla male con gli amici dicendo quanto sono troie a esserci state, che poi conosce una ragazza davvero speciale e si sente uno scemo e poi lei lo lascia e lui in lacrime le scrive le letterine mielose per farla tornare.
Tutto questo raccontato in modo da farsi comprendere dallo stesso uomo medio, con una spaventosa povertà lessicale e un'altrettanto inquietante abbondanza di frasi nominali.
A Fabio piace fare il simpatico, ma spesso con risultati imbarazzanti. Avete presente quell'amico che ama intrattenere con pessime battute, dopo le quali regna un silenzio teso, interrotto soltanto da nervosi colpetti di tosse? Ecco. In più racconta con dovizia di particolari le esperienze sessuali del suo alter ego cartaceo, cercando di farci credere che non è lo sfigato che sembra e che aveva gran successo anche prima di vendere millemila copie dei suoi scritti mediocri. Non contento si cimenta nella creazione di neologismi inutili e per nulla spiritosi, pateticamente enfatizzati da un corsivo evitabile. Non infierirei ulteriormente su uno che, odiando lo studio, non si iscrisse mai alle scuole superiori (fonte: Wikipedia).
Il tema portante del romanzo, se mai ce ne fosse uno, è il cercare di essere sempre se stessi liberandosi dalle imposizioni della società. L'idea di fondo, sbagliatissima ma da sempre molto apprezzata, è che i sogni si realizzino se ci credi veramente. Coelho docet, insomma, ma lui almeno scrive decentemente. La prima parte scorre abbastanza liscia, ma nella seconda iniziano sproloqui insopportabili su quanto si amino Michele e Francesca, quando il loro amore sia diverso da tutti gli altri, quanto sia intelligente non andare a convivere anche quando nasce la bambina perché ognuno ha bisogno dei suoi spazi e tanto se lo potevano permettere (perché quale coppia con figlia a carico non può permettersi di tenere due appartamenti a Milano?), insomma un sacco di parole a vuoto: l'editore si sarà lamentato che altrimenti non avrebbero raggiunto le 200 pagine nemmeno col Times New Roman 20pt.
F.V. vorrebbe parlare per una generazione (e forse, purtroppo, lo fa) ma gli manca l'innocente sincerità (e il talento) del primo Brizzi, così come il suo Federico risulta una copia sbiadita e superficiale del Guido Laremi di De Carlo. I libri generazionali nascondono sempre una certa ingenuità, che "da grandi" ce li fa guardare con occhio indulgente ripensando alle emozioni sfumate dei nostri sedici anni. Qui però non ci si rivolge agli adolescenti, ma ai coetanei dell'autore, quindi ultratrentenni, e la cosa terribile è che loro accolgono con gioia la pappa pronta del furbetto Volo, sentendosi dei profeti del carpe diem, dei discepoli di Osho, dei veri ribelli perché ascoltano Vasco. L'appiattimento del livello intellettivo medio è iniziato da tempo e non per colpa del caro Fabio, ma di certo lui dà una mano.
Per concludere vi lascio con una frase che sono certa vi farà riflettere molto, con il suo odore di diario delle medie pasticciato a pennarello e di lacrime di preadolescente brufolosa che finalmente si sente compresa:
Voglio lasciarmi andare, voglio di più per me, voglio buttarmi per cadere verso l'alto.Per favore, qualcuno mi spieghi cosa vuol dire.
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